Le proteste nel sud della Siria si sono estese fino ad Aleppo. Le manifestazioni antigovernative sono provocate dall’aumento del prezzo del carburante, che va a sommarsi ad una situazione economica disastrosa. I siriani si chiedono perché alla fine dei combattimenti non è corrisposta nessuna ripresa economica né ricostruzione.

Il governo di Bashar al Assad non sembra in grado di sfruttare nemmeno la riammissione nella Lega Araba e i finanziamenti sauditi. Le proteste antigovernative sono iniziate da diverse settimane nel sud, nella zona di Daraa dove erano iniziate le sommosse anti egime del 2011. Tuttavia si protesta anche in aree che sono state sempre sotto il controllo governativo, come quelle a maggioranza drusa di Suweyda.

I drusi hanno sempre sostenuto Assad ma ora gli slogan non lasciano dubbi: «a Siria è nostra e non è della famiglia al Assad». Una delle richieste che vanno ad aggiungersi alle lamentele per i prezzi troppo alti è quella di scarcerare i detenuti, cosa che il governo si era impegnato a fare.

Pare che in Siria vi siano decine di migliaia di detenuti accusati a vario titolo di tradimento durante la guerra ma mai giudicati. Ve ne sono anche molti che non compaiono su nessuna lista ufficiale ma i cui parenti pensano che siano ancora vivi.

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Da sud le manifestazioni si sono diffuse a nord-ovest, nella provincia di Aleppo, tanto che le forze di sicurezza hanno dovuto disperdere i manifestanti nel quartiere aleppino di al Fardous. Si protesta anche a Deir ez-Zor, alla periferia di Damasco e in altri centri minori.

Dopo quasi un decennio di conflitto, l’economia siriana è a terra. La corruzione e la cattiva gestione vengono ad aggiungersi alle sanzioni occidentali, alle conseguenze della guerra in Ucraina e a quelle del terremoto di febbraio scorso, creando un circolo vizioso.

Nel tentativo di ridurre il deficit pubblico, Damasco ha revocato i sussidi per il carburante, provocando un ulteriore aumento dei prezzi e altra rabbia tra la gente.

Manca l’elettricità, i prezzi del cibo crescono mentre gli stipendi sono rimasti quelli di una volta. Il regime spera in investimenti esteri provenienti dai paesi del Golfo che tardano anche perché nulla si muove sul fronte del rientro dei rifugiati e della fine della produzione di captagon, una richiesta molto pressante da parte dei paesi arabi.

Tale droga a basso costo, introdotta dall’Isis che la forniva ai propri combattenti, viene ora confezionata da reti criminali locali. Visti i danni che provoca in medio oriente, da varie parti si chiede a Damasco di interromperne la produzione anche se pare che il regime ne ricavi sostanziosi dividendi.

Dopo oltre dieci anni di guerra sanguinosa, le manifestazioni non mettono in pericolo il governo ma rappresentano un segnale d’allarme per Assad: la gente è davvero alla disperazione ed è urgente tornare almeno alla normalità economica.
 

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