C’è una lettera di Nikos Dendias nella posta di Luigi Di Maio alla Farnesina. Il ministro degli Esteri greco ha scritto ai colleghi di Italia, Francia, Germania e Spagna. Chiede di fermare l’esportazione di armi alla Turchia perché «sta usando quegli equipaggiamenti per destabilizzare la nostra regione». La tensione nel Mediterraneo orientale è alta da questa estate, per l’espansionismo del presidente turco Recep Tayyp Erdogan e le sue mire sui giacimenti energetici. Ieri Ankara ha fatto sapere che, nonostante gli accordi presi in sede Nato (sia Atene che Ankara ne fanno parte), neppure durante le feste nazionali interromperà le esercitazioni militari nell’area. Mentre l’Europa lavora a ipotesi di gasdotto (con la Grecia, ma pure l’Italia “ponte energetico” continentale), la Turchia non rinuncia a rivendicare le acque attorno a Cipro. L’appello greco sottintende che ad Ankara arrivino armi anche dal nostro paese, i cui interessi strategici divergono da quelli della Turchia nel Mediterraneo o finiscono adombrati dal suo protagonismo in Libia.

Armi italiane ad Ankara

Roma vende armi alla Turchia? No, ma anche sì. Proprio un anno fa, a ottobre 2019, Di Maio ha promesso di non autorizzare più esportazioni di armi ad Ankara in ragione della sua offensiva contro i curdi nel nord della Siria. La decisione è valsa per le future licenze, non per quelle in essere; e tra via libera, produzione e consegna, c’è margine di tempo e di manovra. Tanto che i dati mostrano che da novembre 2019, cioè un mese dopo lo stop, a luglio abbiamo esportato in Turchia oltre 85 milioni di euro in armi e munizioni, di cui 60 nel 2020. Le cifre, ricostruite dall’Osservatorio permanente armi leggere (Opal), sono da record: è il massimo storico dal 1991. I primi tre mesi del 2020 vedono un raddoppio rispetto al trimestre dell’anno prima. «Non potevano essere fermate anche le licenze già avviate?» dice Francesco Vignarca della Rete italiana pace e disarmo. «Con l’Arabia Saudita è stato fatto». Ma con Ankara Di Maio ha preferito liquidare il tema con una istruttoria, affidata alla Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento. «Peccato che di questa istruttoria si sia persa traccia: ne abbiamo chiesto conto più volte, anche in una audizionie di Uama alla Camera, ma non è mai arrivata risposta chiara» dice Lia Quartapelle, parlamentare Pd in commissione Esteri.

Schizofrenie a Parigi e Berlino

Eppure ad agosto c’era l’Italia, con Francia, Grecia e Cipro, a simulare una battaglia navale a sud di Cipro. Parigi, a parole, avverte Erdogan. «Faremo rispettare il diritto», ha detto il presidente Emmanuel Macron schierandosi dalla parte della Grecia. Ma pure all’Eliseo i dati tradiscono una schizofrenia: lo scorso anno la Francia, secondo i dati raccolti da Tony Fortin dell’Observatoire des armaments, ha esportato 70 milioni di euro di armi alla Turchia e alla Grecia meno di 5 milioni. Quanto alla Spagna, Jordi Calvo dal Centre Delàs d’estudis per la Pau mostra che oltre 370 milioni sono arrivati a Madrid grazie all’export di armi ad Ankara. E la Germania? Il ministro degli Esteri Heiko Maas, che si è posto come mediatore della crisi mediterranea, ha risposto all’omologo greco: «Seguiamo già criteri restrittivi e responsabili». Berlino nel 2019 ha raggiunto un livello di export di armi alla Turchia che è record degli ultimi 14 anni: 250 milioni di euro solo nei primi otto mesi. Ankara è, da due anni di fila, primo beneficiario delle armi tedesche.

Export d’Europa

Emma Bonino, che da ministro degli Esteri nel 2013 ha ottenuto in Consiglio Ue l’embargo di armi all’Egitto, dice: «Un blocco a livello europeo non solo è difficile, ma bisogna vedere se e chi lo rispetta». Quando si tratta di armi, il margine di manovra rimane ai governi, spesso con poca trasparenza. Hannah Neumann, autrice di un rapporto dell’Europarlamento approvato di recente proprio su questo tema, dice: «Il parlamento europeo chiede un embargo verso la Turchia dai tempi dell’invasione del nord della Siria, ci sono tante risoluzioni approvate e lo ribadiamo nel mio report sull’export di armi. Ma la decisione rimane in mano alle autorità nazionali». Manca una voce unica. E, dice Quartapelle, «in Italia pure una visione strategica».

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