Inizia un nuovo anno e con esso si moltiplicano le previsioni, spesso più basate su un wishful thinking che su una concreta conoscenza del sistema politico russo, sulle sfide che il presidente Vladimir Putin dovrà affrontare. Sarà l’anno del colpo di stato ovvero del regime change tanto auspicato dall’amministrazione presidenziale americana e dai governi europei? Assisteremo al tracollo della Russia postcomunista?

Nel 2021 uno studio condotto da John Chin, David Carter, and Joseph Wright ha rilevato che i “regimi personalistici”, come quello russo, hanno più probabilità di affrontare un colpo di stato, ma, in generale, solamente il 48 per cento dei casi analizzati ha avuto un cambiamento di regime.

Al di là della statistica, è sempre difficile fare previsioni. Ne abbiamo avuto una prova eclatante con l’invasione russa in Ucraina del 24 febbraio 2022. Un’analisi razionale, basata sui costi e benefici di una simile decisione, aveva portato diversi analisti a ritenere più probabile un conflitto circoscritto solamente al Donbass (che era già in corso dal 2014).

In caso contrario, sarebbero state ben peggiori le conseguenze politiche ed economiche della Russia di Putin: impensabile occupare e controllare il vasto territorio ucraino e sottoporre la Russia, non solo ad un isolamento in ambito internazionale, ma anche ad una sfida “uno contro tutti” dalle conseguenze economiche e sociali devastanti per la popolazione russa. Eppure, la realtà dei fatti ha smentito clamorosamente questa interpretazione e, ormai, il conflitto sta entrando nel suo primo anniversario.

Su quali elementi possiamo, allora, prevedere il 2023 del presidente Putin? La debolezza politica di Putin dipenderà in primis dall’andamento della guerra sul campo. L’anno appena trascorso ha cancellato il mito della superpotenza sovietica, sostituito da una serie di sconfitte sul campo di battaglia dell’esercito russo, poco addestrato e motivato, che ha evidenziato i problemi logistici, di equipaggiamento e della catena di comando russa.

Ulteriori sconfitte o perdite di territorio acquisito con il referendum illegale del settembre 2022, renderebbero difficile sostenere l’immagine “vittoriosa” del presidente Putin anche alla propaganda mediatica che ha sostenuto, in diverse occasioni, le posizioni ultranazionaliste del ceceno Ramzan Kadyrov e di Evgenij Prigožin, il capo del gruppo Wagner.

Le fibrillazioni delle fazioni politiche all’interno del “giardino d’oro” del Cremlino ci sono sempre state, anche prima della guerra in Ucraina, ma sono state sfruttate da Putin come classico espediente del divide et impera che gli ha consentito di rimanere saldamente al comando in questi vent’anni, oltre alle elargizioni di benefici, premi e onorificenze per rafforzare la lealtà nei suoi confronti.

Cosa potrebbe cambiare nel 2023

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Al netto dell’andamento del conflitto militare, della situazione economica e di fattori esterni che incideranno sul rafforzamento o indebolimento del presidente Putin, gli eventi politici che potrebbero mettere seriamente in difficoltà il Cremlino riguardano due significativi appuntamenti elettorali. Il primo è la seconda ondata di elezioni regionali che avranno luogo a metà settembre, mentre il secondo è l’avvio della campagna elettorale per le presidenziali del marzo 2024.

Nel corso degli anni, le elezioni amministrative hanno costituito il locus politico entro cui le opposizioni extra-parlamentari, e le forme di protesta contro le decisioni delle autorità locali nei settori delle politiche ambientali e infrastrutturali, sembravano garantire una competizione aperta, una micro-democrazia rappresentativa all’interno di un regime politico sempre più illiberale. Per questo motivo, le elezioni locali sono sempre state considerate dal Cremlino il termometro dello stato di salute del consenso del partito presidenziale, Russia unita.

Nella concezione del potere putiniano, le elezioni regionali non devono essere assolutamente sottovalutate, ma costantemente monitorate per evitare che si verifichino situazioni destabilizzanti per la coesione e l’integrazione territoriale della Federazione russa, che costituiscono il fulcro della politica di difesa e di sicurezza del paese.

Le elezioni amministrative del settembre 2022 sono state considerate dal Cremlino come “circoscrizioni tranquille” dove tutti gli incumbents alla carica di governatore sono stati rieletti con alte percentuali. Dal punto di vista dell’immagine esterna, Putin ha dimostrato alla comunità internazionale che anche in un contesto bellico l’unità nazionale è ben salda, e, con essa, anche la sua guida politica.

I fattori pericolosi per Putin

Le variabili che potrebbero cambiare qualche scenario locale o provocare qualche scossone al Cremlino il prossimo 10 settembre sono: gli effetti della mobilitazione parziale sulle famiglie coinvolte nella parte orientale della Russia (Jakutija, Krasnojarsk, Čukotka) le conseguenze socio-economiche delle sanzioni, i costi della guerra che nel ciclo elettorale 2021-2022 non si erano ancora manifestati.

Se le politiche repressive verso i movimenti locali di protesta e una bassa affluenza potrebbero evitare conseguenze negative per il Cremlino, una particolare attenzione dovrà essere rivolta ai governatori e ai candidati di Russia unita che, sinora, hanno giocato un ruolo fondamentale per contenere il malcontento sociale ed economico che le sanzioni e la “guerra di logoramento” sta determinando nel paese.

In seguito alla riforma della pubblica amministrazione, i governatori regionali avranno più margini di manovra amministrativa e politica perché potranno limitare la formazione di nuove forze politiche o di leader locali e rendere, quindi, sempre meno competitive questo tipo di elezioni. È, quindi, indispensabile per Putin evitare che la “verticale del potere” possa essere indebolita dalla periferia per arrivare al centro e che rivolte popolari, seppur locali, possano estendersi anche nelle grandi metropoli. Se si diffondesse la percezione che il presidente Putin è incapace di gestire l’amministrazione presidenziale, sarebbe molto più difficile contare anche su azioni repressive contro i manifestanti da parte della polizia russa.

Ne consegue che anche per le elezioni presidenziali del 2024 è determinante per il presidente Putin portare a casa un risultato “tranquillo” alle elezioni regionali, come nel 2022, per sciogliere la riserva entro i primi di dicembre 2023 sulla sua eventuale ricandidatura o appoggiare, come aveva fatto nel 2008, un suo protetto sul quale, eventualmente, scaricare la sconfitta in Ucraina.

Non solo. Questo quadro della situazione politico-elettorale induce a sottolineare un altro aspetto determinante per comprendere la fragilità politica di Putin: per evitare un autunno caldo, il presidente ha bisogno di concludere il conflitto o, quantomeno, congelarlo per renderlo spendibile nella campagna elettorale entro l’estate. Insomma, per Putin il 2023 rappresenta il redde rationem, ma non illudiamoci troppo su un esito a lui sfavorevole.

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