Ai tempi della Guerra fredda, il filosofo socialista Cornelius Castoriadis ha incessantemente denunciato l’espansionismo russo e il rischio di un’escalation militare globale. Secondo lui, la minaccia a est non doveva essere contrastata con le armi ma esigeva il risveglio delle opinioni pubbliche mondiali in un grande movimento pacifista. Aveva già funzionato per il Vietnam, dove gli Stati Uniti erano stati costretti a ritirarsi anche per via della fortissima opposizione interna guidata dagli studenti. 

Perché uno stato può certo disinformare e reprimere la propria popolazione – Vladimir Putin non ha mai esitato a farlo – ma a lungo termine non può operare senza una base di consenso. E il consenso della popolazione russa all’avventura militare in Ucraina pare sempre meno acquisito.

Ci giungono immagini di gigantesche manifestazioni pacifiste da Mosca e San Pietroburgo, con migliaia di arresti. Musei e istituzioni culturali russe chiudono in segno di protesta, gli universitari si dissociano. Dov’è l’egemonia culturale? Sui social media, gli influencer prendono posizione, come il tikToker che si è filmato mentre abbracciava i passanti che si dichiaravano contro la guerra.

Persino Ivan Urgant, il geniale conduttore del programma Ciao 2020 dedicato all’Italia, ha manifestato pubblicamente la sua opposizione all’invasione dell’Ucraina, col risultato di essere sospeso dalla tv di stato. Forza Giovanni Urganti! Quanto agli oligarchi, sicuramente non apprezzano i danni finanziari e commerciali che questa situazione sta causando loro.

Il 2022 non è il 1979

Sappiamo che Putin gode di un grande apprezzamento presso la maggioranza della popolazione russa, ma questa guerra potrebbe rivelarsi come il suo più tragico errore di valutazione. Non si fa una guerra nel 2022 come la si faceva nel 1979, quando il fronte interno sovietico era isolato dal resto del mondo dalla cortina di ferro.

Oggi esiste una gioventù urbana russa che condivide con gli omologhi occidentali valori e consumi culturali, che vede nella guerra il retaggio di un passato ancestrale e che non ci sta a passare per il cattivo della situazione. Ma per prendere posizione, in un paese in cui dissidenti e giornalisti vengono occasionalmente ammazzati, ci vuole più coraggio di quanto ne serva a noi.

Il ruolo dell’opinione pubblica europea non è secondario in questo conflitto: sta a noi mandare segnali di sostegno al popolo russo in lotta contro il proprio apparato burocratico-militare, facendogli capire che non è solo, e fare pressione sulle nostre istituzioni per applicare le più dure sanzioni ma senza assolutamente mettere il dito nell'ingranaggio dello scontro armato.

La guerra del 1914 scoppiò anche perché i movimenti socialisti non raccolsero la sfida dell’internazionalismo e preferirono schierarsi con i loro rispettivi governi: oggi abbiamo invece l’opportunità di mostrare che esiste un’unica opinione pubblica eurasiatica, che vuole la pace e all’inverno atomico preferisce una primavera di Kiev. Giovanni Urganti vive e lotta con noi.

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