L’esempio storico delle misure imposte degli Stati Uniti contro l’Unione sovietica tra 1981 e il 1982 in risposta alle ingerenze di Mosca nella repressione polacca può offrire chiavi di lettura per comprendere l’uso attuale delle sanzioni economiche.

È stato l’ultimo momento di forte tensione della Guerra fredda e di divergenza importante tra gli Stati Uniti e gli alleati europei sulle priorità tra interessi economici e politici.

L’evidente fallimento delle sanzioni ha contribuito a una discussione più ampia sull’uso di questi strumenti alla luce di un contesto economico interdipendente in cui le relazioni economiche tra stati non sempre coincidono con quelle politiche.

La mossa di Reagan

A fine dicembre del 1981, Ronald Reagan annunciò un pacchetto di sanzioni economiche contro l’Unione Sovietica in risposta al sostegno di Mosca al regime polacco: il governo comunista del generale Jaruzelski aveva imposto la legge marziale.

Gli Stati Uniti sospesero i voli dell'Aeroflot e i negoziati sui nuovi accordi a lungo termine sul commercio di cereali, così come le licenze di esportazione su alcuni prodotti, tra cui le attrezzature per la costruzione di gasdotti.

Le sanzioni si associavano a quelle decise contro la Polonia allo scopo di premere per la fine delle politiche repressive del regime polacco.

Sanzioni col buco

Fin da subito le sanzioni apparvero economicamente inefficaci. Sembravano avere conseguenze più sull’economia degli Stati Uniti che su Mosca. Le misure impedivano alle aziende statunitensi di esportare direttamente i prodotti sotto embargo, ma questi erano già presenti nei mercati internazionali. Filiali americane in Europa e altre imprese con licenze americane producevano gli stessi beni su suolo europeo per poi esportarli in Urss. Insomma, l’economia globale sembrava poter riadattarsi e trovare canali commerciali alternativi anche alla potenza economica americana.

A prescindere dal loro impatto economico, le misure avevano un importante valore simbolico perché toccavano alcune questioni strategiche riguardanti le relazioni economiche tra Est e Ovest e il periodo di distensione della Guerra Fredda.

Gli Americani decisero di imporre il divieto di esportazione di componenti che sarebbero servite a costruire il primo grande gasdotto dalla Siberia all’Europa. L’obiettivo era di bloccare l’avanzamento del progetto che avrebbe aumentato notevolmente la dipendenza europea dal gas sovietico (nel 1982, in media, il 13 per cento del fabbisogno energetico dell’Europa occidentale era coperto da Mosca). Le misure, dunque, sembravano avere un impatto più sui paesi dell'Europa occidentale che sul paese soggetto a sanzioni.

Gli alleati europei risposero negativamente alle decisioni statunitensi. Pur condannando gli eventi in Polonia, riaffermarono la loro volontà di proseguire il progetto. Gli americani potevano fare leva sul loro dominio economico e tecnologico, ma le realtà dell’economia globalizzata e della competizione crescente dei mercati costrinsero Reagan a cercare un accordo su misure comuni con gli alleati. Inoltre, le sanzioni economiche imposte a dicembre 1981 dovevano mantenere almeno il loro valore politico: per evitare uno scontro esplicito sulle politiche da mettere in atto nel contesto della Guerra Fredda, c’era bisogno di una cooperazione transatlantica.

I negoziati transatlantici si concentrarono sulle questioni finanziarie, in particolare sulle regolamentazioni dei crediti alle esportazioni che servivano a finanziare gli scambi commerciali tra i due blocchi e che, in ogni caso, necessitavano di nuove riforme. In questo modo, gli Stati Uniti avrebbero potuto mantenere la credibilità delle proprie azioni aprendo allo stesso tempo a discussioni più ampie sulla gestione della globalizzazione economica.

Il fallimento di mesi di discussione su questi temi portò a un ulteriore aumento delle tensioni tra alleati. Per poter continuare ad avere ragione di esistere, le sanzioni andavano rilanciate allo scopo di rispondere all’inazione europea da un lato, e ai mancati effetti su Mosca dall’altro.

Scontro dentro l’occidente

Nel giugno del 1982, Reagan estese quindi le misure economiche imposte sei mesi prima, includendo però anche i pezzi prodotti dalle filiali statunitensi e da quelle in possesso di licenze americane in Europa. In maniera unilaterale, gli Americani avevano allargato le sanzioni oltre i propri confini, riaccendendo la disputa internazionale.

La reazione degli alleati fu prevedibilmente avversa: molti governi consigliarono alle loro aziende di non usare la tecnologia statunitense, i francesi si rifiutarono di incontrare il rappresentante commerciale degli Stati Uniti, i tedeschi intimarono alla loro impresa che lavorava sulle turbine soggette alle misure statunitensi di continuare a farlo.

Inoltre, gli alleati stavano anche rispondendo alla decisione degli Stati Uniti alla fine di luglio di estendere l'accordo commerciale di esportazione dei cereali americani in Unione Sovietica. Se bisognava imporre delle sanzioni contro l’Unione Sovietica per le sue azioni in Polonia, perché queste dovevano riguardare solo i prodotti specifici scelti dagli statunitensi? Secondo gli europei, per lo stesso principio, gli Americani non avrebbero dovuto continuare a fare altri affari con Mosca.

La Polonia era diventata solo l’inizio di un confronto aperto tra alleati sulle questioni di commercio e interdipendenza economica. Le reazioni europee, inoltre, mostrarono chiaramente il delicato equilibrio delle sanzioni economiche, la complessità della loro definizione e applicazione e come questi stessi problemi potessero crescere quando si trattava di creare una risposta multilaterale.

 Quando anche il nuovo pacchetto di misure fallì, fu evidente che il problema non era solo economico, ma politico. Le vennero revocate nel novembre del 1982. 

La sopravvivenza delle sanzioni

President Ronald Reagan, left, and Congressman Jim Collins prepare to pose in cowboy hats at a rally at Collins' ranch between Dallas and Ft. Worth in Irving, Texas, Oct. 11, 1982. Reagan made the stop on his return from the west coast to campaign in behalf of Collins who is seeking a seat in the U.S. Senate. (AP Photo/Bill Haber)

Tuttavia, nei casi di disputa, di cui la crisi polacca rappresentava un esempio chiave, le pressioni economiche rimanevano lo strumento principale da utilizzare, malgrado la sua complessità. Proprio in quegli anni, studiosi di sanzioni iniziarono a rimettere in discussione questo assunto, a partire dal nuovo contesto globale che si stava delineando negli anni Ottanta.

Nonostante la loro predominante attenzione sugli effetti economici delle sanzioni, altre variabili politiche iniziarono ad essere incluse nelle analisi per comprendere nel frattempo perché si continuavano ad imporre sanzioni economiche anche alla luce della loro generale inefficacia.

eGli Stati Uniti infatti hanno continuato ad imporre sanzioni economiche, imparando anche a riadattare e migliorare l’uso di questo strumento alle nuove condizioni di mercato: si pensi a come le sanzioni si sono allargate alle infrastrutture finanziarie in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001.

 Quello che è stato sicuramente riconosciuto col tempo è il valore politico che le sanzioni avevano acquisito in quanto strumenti di politica estera nell’economia globale. È il loro valore politico che continua oggi a giustificare l’impiego delle sanzioni economiche – anche quando sono misure precise e limitate che non mettono necessariamente in ginocchio il paese colpito.

Effetto globalizzazione

 Il caso delle sanzioni contro l’Unione Sovietica diventa perciò una chiave di lettura interessante proprio per comprendere il senso e valore di queste misure in un contesto globalizzato. Mentre i mercati sempre più integrati si trasformavano in un nuovo campo di competizione e confronto aperto tra Stati, le sanzioni diventavano una risposta tanto necessaria quanto economicamente inefficace.

 L’economia globale permetteva, con costi aggiuntivi, di trovare beni altrove. L'esempio delle imprese statunitensi colpite dalle sanzioni sui pezzi necessari alla costruzione del gasdotto ha mostrato come queste azioni potevano essere limitate, anche per la prima potenza economica mondiale.

Se c’è una cosa che il dibattito sull'efficacia delle sanzioni ci rivela allora come oggi è la complessità dei significati simbolici e politici che la classe dirigente e l'opinione pubblica attribuiscono a quello che è comunque interpretato come uno strumento eminentemente economico.

Se e quando i nuovi pacchetti di misure contro la Russia sull’energia verranno imposti, bisognerà dunque valutarli in termini politici e simbolici, oltre che economici.

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