È già passato un mese dall’inizio dell’incubo. Quello che sembrava impossibile è avvenuto: l’invasione dell’Ucraina, la guerra in Europa.

In una sola notte Vladimir Putin ha distrutto vent’anni del suo lavoro: la costruzione di una potenza mondiale temuta e rispettata, che giocava nel girone dei grandi della terra, pur avendo il solo Pil della Spagna; la reputazione di una micidiale potenza militare, impantanata nelle steppe ucraine con carri armati da museo e soldati di leva impauriti e affamati; la fama di affidabile fornitore di energia, diventata sinonimo di ricatto politico cui sottrarsi prima possibile. La sua stessa leggenda nera, di specialista di spionaggio e ispiratore delle trame più oscure: capace di interferire nell’elezione di Trump e nel referendum sulla Brexit; mai però di controllare la nazione più vicina alla Russia per cultura, religione e lingua. Il politico freddo e senza scrupoli, ma riconosciuto persona razionale e prevedibile, che sembra uscito di senno. Il maestro dell’infoware e della propaganda, che si è fatto infinocchiare dai suoi generali e dai servizi segreti, che gli dicevano solo ciò che lui voleva sentire.

E poi la Russia: un paese che Putin aveva ereditato da Eltsin sull’orlo della dissoluzione, cui aveva saputo restituire sicurezza e stabilità, seppure con metodi spicciativi, e persino spazi (ben controllati) di democrazia e stato di diritto. Pare incredibile a dirlo oggi: mai i russi avevano goduto, nella loro storia, di tanta libertà, benessere, possibilità di viaggiare all’estero, fare impresa. Oggi si ritrovano a essere i paria d’Europa: Putin, il pietroburghese occidentalista, ammiratore di Pietro il Grande, si è fatto risucchiare nei suoi deliri imperialisti e panrussi.

L’Ucraina, invece, sin dall’indipendenza dall’Unione sovietica, era stata una democrazia dell’alternanza, ma cleptocratica e corrotta. L’ex motore industriale dell’impero, il granaio d’Europa, è sprofondato nella miseria, tenuto in piedi solo dai prestiti della Banca Mondiale, dagli aiuti occidentali, e dalle rimesse degli emigrati, che a milioni avevano lasciato una nazione senza prospettive. Questo era il paese dove ho cominciato a lavorare per la cooperazione internazionale allo sviluppo, nel 2008: un mercato dove tutto era in vendita: la politica, il corpo delle donne, i diplomi universitari, le sentenze dei giudici, la lealtà dei militari, il potere della polizia.

Poi nel 2014 la rivolta di Maidan, oggi ufficialmente definita “la rivoluzione della dignità”. “Dignità” è la parola chiave di questa guerra: perché Putin ci ha perso la sua, e gli ucraini vi hanno ritrovato la loro. E combatteranno senza quartiere per difenderla, assai più che per la vita o per la patria. Ciò a dispetto dei pacifisti nostrani che si appellano al “dovere della resa”. No: “ripudiare la guerra”, come ci chiede la nostra costituzione, non significa sottomettersi alla prepotenza del più forte; semmai il contrario.    

Dunque, l’Ucraina e il suo popolo, la sua fiera reazione, sono la scoperta del momento. II pubblico italiano, non soddisfatto dei meccanismi dell’infotainment televisivo dal quale sono assenti le vittime, vuole approfondire. A questo pubblico vogliamo oggi offrire qualcosa di più di una analisi: una testimonianza diretta dall’Ucraina.

Quello che segue è il resoconto di un dialogo drammatico con la mia amica Oksana, che mi ha documentato in diretta su WhatsApp la sua vita sotto l’occupazione.

Oksana, imprenditrice e attivista anticorruzione, era nel suo villaggio-albergo a ovest di Kiev, ed è rimasta bloccata per nove giorni in mezzo all’avanzata dei carri russi che tentavano di accerchiare la capitale. Poi è riuscita a fuggire. L’ho convinta a elaborare i suoi ricordi, e a metterli per iscritto in un diario. Ora è in salvo nei Carpazi, in ansia per le persone care che si è lasciata indietro, amareggiata dalla mancanza di solidarietà dei parenti russi che rifiutano di crederle, influenzati dalla propaganda di Putin. E con una domanda all’occidente: «Perché ci avete lasciato soli?».

Il diario di Oksana termina simbolicamente l’8 marzo, festa della donna: lo dedichiamo a tutte le donne ucraine, che sono dovute fuggire a milioni lasciando indietro i loro uomini, o sono rimaste, a combattere.  

Attesa e spunte blu

Trascrizione delle conversazioni via WhatsApp intervenute tra me (DQ) e Oksana (OV) tra il 22 febbraio e l’8 marzo 2022.

22 febbraio:

DQ: Ciao, com’è la situazione? La gente ha paura adesso? Gli americani hanno lasciato Kiev, la tua gente resta? Sto cercando di raccontare questa situazione sulla stampa italiana, è difficile capire da qui. Quindi, per favore, dammi la tua opinione.

23 febbraio:

OV: Ciao, scusa il silenzio. Anche qui c’è molta ansia e aspettative terribili. Secondo me Putin vuole il nostro declino economico: non ha bisogno di un’invasione diretta, ma tutto questo uccide la nostra economia.

24 febbraio (giorno dell’invasione):

OV: L’ha fatto: è iniziata la guerra. Quali sono le informazioni dall’esterno?

DQ: Qualunque cosa tu veda dalla tv. Mi sono appena svegliato. Il giorno peggiore della mia vita. Tienimi aggiornato. Sei a Kiev adesso?

OV: No. Nel villaggio.

DQ: Senti bombardamenti?

OV: Sì. È terrificante ovunque. Non sono sicura che vedremo il domani.

DQ: Da Karkiv ho notizie di invasione. Il mio amico di Dnipro dice che stanno bombardando anche lì. Non capisco perché stanno attaccando le città di lingua russa.

OV: Perché tutta l’Europa non ci sta aiutando con ciò di cui abbiamo bisogno. Perché tutto il mondo ha paura di lui. Sente che non ci sarà alcuna opposizione. E qui siamo senza armi.

25 febbraio

OV: Dov’è l’aiuto dall’Europa????? Ovunque ci sono truppe russe. Siamo qui senza armi. Hanno piazzato elicotteri, carri armati. Si stanno avvicinando molto a noi: truppe regolari e i Kadyrovtsy [i ceceni, ndt]. È orribile. Niente armi, niente benzina. Sto cucinando per la milizia locale, la teroborona. Ora li raggiungo, anche se ci sono russi ovunque.

26 febbraio

DQ: Il papa si è recato di persona all’ambasciata russa per chiedere spiegazioni.

OV: Penso che abbiamo a che fare con un pazzo. Putin può essere fermato solo dalle armi.

DQ: E tuo figlio? Verrà arruolato e combatterà?

27 febbraio

OV: Ciao, scusa è stata una giornata troppo impegnativa. No, non è ancora pronto per essere arruolato, essendo studente. Ma è nella teroborona, la milizia locale. Vado ogni giorno sulle postazioni con cibo e tè caldo. Ieri mi sono gettata a terra per i razzi. Ora la situazione più difficile non è qui.

DQ: Bene, questa almeno è una buona notizia. Stai al riparo. Sto facendo qualsiasi cosa in mio potere per mantenere le persone informate e consapevoli.

OV: Grazie mille!!! Per tutto quello che fai. Oggi niente internet, niente luce, mentre il nostro aereo è stato distrutto!  [L’Antonov An-225 Mriya, il più grande aereo cargo del mondo, ndt].

28 febbraio

OV: Per tutto il giorno molti carri armati e fanteria russi si sono mossi molto vicino a noi, e le piccole città vicine sono rase al suolo. Gli equipaggi dei carri armati distrutti dal nostro esercito sono dispersi qui nella foresta, saccheggiano ogni casa. Hanno fame, sono terrorizzati. Qualche volta chiedono persino scusa, quando rubano. Dicono che non sapevano quello che stavano andando a fare.

Forse questo è l’ultimo giorno per me…

[segue una drammatica videochiamata con il sottofondo degli spari. Ci diciamo addio…].

1° marzo

OV: Viva. È stato il giorno più orrendo della mia vita

DQ: Che sollievo! Sei al sicuro?

OV: Nessuno è al sicuro, qui. Una nuova colonna di carri armati distrugge tutto e dirige su di noi.

3 marzo

DQ (mattina): Buongiorno! Sei al sicuro? Ti prego, dai notizie.

DQ (a sera): Ehi? Com’è la situazione? Sei al sicuro? … Ok, vedo le spunte blu, quindi hai ricevuto i miei messaggi e sei viva. Questo è tutto ciò che volevo sapere.

4 marzo

OV: No, siamo circondati dai nemici. E tagliati fuori. Non esistono più altri complessi vicini. Distruggono tutto a caso. Mi cadono i capelli. Ci sono molti ragazzi qui e mi sento responsabile. Alcune persone qui stanno perdendo la testa.

5-6 marzo

Molti messaggi senza risposta. Niente spunte blu. Angoscia.

7 marzo

DQ: Come stai?

OV: Sono in pessime condizioni.  Aiuta l’Ucraina come puoi.

8 marzo

DQ: Felice di sapere che sei al sicuro!!!!

OV: Sì, viva e al sicuro. Ho perso 6 kg e molti capelli cadono per lo stress. Ho lasciato il mio villaggio – madre della mia vita per essere distrutto dalle bombe. Con solo i vestiti che avevo addosso, da giorni.

DQ: Dove sei adesso?

OV: Sono nei Carpazi. Mi riposerò un po’ e poi studierò cosa fare per combattere l’invasore.

DQ: Scrivi! Dì alle persone come è essere sotto assedio. Un diario. Mi impegno a tradurlo e a farlo diffondere. Abbiamo un proverbio in Italia: “Ne uccide più la penna che la spada”.

Il diario 

Oksana V*, direttrice del complesso etnografico Villaggio Ucraino

Dal 24 febbraio al 7 marzo, circa ottanta persone tra il personale e gli ospiti del complesso etnografico Villaggio Ucraino (nel villaggio di Buzova situato a 25 km da Kiev) sono sfuggiti alla guerra. Per nove giorni sono stati sotto occupazione senza elettricità, riscaldamento e mezzi di comunicazione, in uno scantinato umido.

26 febbraio. Signore, proteggi la nostra terra e il cielo sopra di noi! Preghiamo da un rifugio, dove più di ottanta persone, di cui dodici bambini, si nascondono dalla guerra. Il seminterrato della nostra scuola ecclesiastica sul territorio del complesso etnografico Villaggio ucraino, dove conserviamo le patate, è stato trasformato in un rifugio antiaereo. La mia più grande preoccupazione è che possa diventare una fossa comune per tutte queste persone – i nostri ospiti e i lavoratori fuggiti da Kiev. Accanto al nostro edificio c’è una chiesa ucraina, un simbolo della nostra identità nazionale, che, secondo l’occupante, non dovrebbe esistere.

27 febbraio. La periferia di Kiev è diventata un campo di battaglia. Colonne di carri armati e armi erano a 2 km da noi, sull’autostrada per Zhytomyr. Le forze armate dell’Ucraina stavano distruggendo il nemico, che in cambio ha sparato in tutte le direzioni, le esplosioni erano ovunque. I razzi sono esplosi nel cielo e le loro schegge hanno perforato i tetti delle nostre serre come fossero di carta. I nostri cannoni antiaerei si muovevano in direzioni diverse per colpire i carri armati nemici sulla strada per Zhytomyr uno a uno. Gli elicotteri russi si libravano sopra di noi. I droni dell’aggressore stavano facendo foto del territorio, sospesi sopra le nostre teste. I giorni e le notti venivano mescolati insieme e non sapevamo cosa ci avrebbe portato ogni minuto. Eravamo tutti disarmati.

28 febbraio. Una granata ha colpito il vicino ospedale di maternità Adonis sull’autostrada per Zhytomyr. Quindici donne incinte, neonati e personale sono stati evacuati e si sono rifugiati nel seminterrato di una scuola nel villaggio di Buzova. All’ottavo mese di gravidanza, Irina, 31 anni, stava aspettando nel seminterrato di essere evacuata a Kiev. Tra i neonati un bambino prematuro che ha bisogno di ossigeno. Sono stati portati via sotto il fuoco dei cecchini. Scappando dall’autobus, donne incinte sono cadute sulla strada.

Notte del 1° marzo. Il nemico ha sparato agli edifici residenziali di cinque piani nel villaggio di Buzova. Nessuno sa cosa sia successo alla gente, non c’è luce e nessuna comunicazione. Molte strutture si trovano lungo l’autostrada: ristoranti, supermercati, ospedali, vivai – tutti ridotti in rovina.

Quando i suoni delle esplosioni sono vicini, le persone nel nostro seminterrato hanno attacchi di panico: un anziano piange, ma facciamo giochi di gruppo con i bambini per attutire i suoni delle esplosioni. Nei momenti di silenzio, i nostri ospiti chiamano i loro parenti, cercando il modo di evacuare. Un mio collega ha cercato di riparare il trasformatore, quando un missile è esploso nelle vicinanze. Da allora ha avuto il singhiozzo per cinque giorni, gli manca l’aria a causa di spasmi al petto.

1° marzo. I cecchini stanno sparando proprio accanto a noi lungo il sentiero che porta all’autostrada. Un’auto con quattro civili che ha cercato di andarsene è stata colpita da un colpo di arma da fuoco, gli occupanti sono corsi nel bosco. Un uomo si è rotto entrambe le gambe, non riusciva a correre ed è rimasto nel bosco: non è stato ritrovato. Le donne sono corse agli edifici più vicini, sono ferite: chiedono di essere portate in ospedale, ma nessuno osa portarle sotto il fuoco dei cecchini. Sanguineranno nel seminterrato della casa per quattro giorni. I nostri dipendenti, mettendo a rischio la propria vita, portano loro antibiotici e antidolorifici attraversando i campi. Auto rotte e bruciate vengono lasciate ai bordi delle strade, il sangue è sui vetri.

3 marzo. La nostra cuoca, Nadia Ivanivna, cuoce il pane nel forno all’aperto, nel territorio del museo etnografico. I nostri antenati cuocevano il pane in questi forni e ora lo facciamo anche noi. Più volte la cuoca si getta a terra, proteggendosi dalle esplosioni. La gente dei paesi vicini viene da noi per il pane, per un po’ di cibo, molti non hanno più cibo per i bambini. Per due ore al giorno, accendiamo il generatore per caricare i telefoni e cuocere grandi pentole di zuppa o borsch. C’è pochissimo carburante diesel ed è impossibile acquistarlo ovunque. Per queste due ore al giorno, tutti i vicini si riuniscono al ristorante per caricare i loro dispositivi elettronici. Maksym, il barista, riesce a fare il caffè. La gente lo beve ai tavoli dei ristoranti – una spettrale illusione di pace.

Fino all’8 marzo continuiamo ad accumulare calore nelle serre tropicali del complesso. Le banane e le papaie maturano lì, i limoni e il frutto della passione sbocciano inzuppando l’aria di un aroma incredibile. La temperatura minima alla quale queste piante possono sopravvivere è di 11 gradi. L’8 marzo diventa impossibile riscaldare le serre. Fuori fa freddo.

3, 4, 5, 6 marzo. Il nostro rifugio antiaereo ha già i suoi regolamenti. Preghiamo insieme per l’Ucraina, riveliamo i talenti di coloro che sono bloccati qui. Tra noi – un cantante d’opera, un pittore, chef, traduttori, professionisti IT, educatori. Non ci sono però medici e chi sappia usare le armi. Tutti cercano di essere utili.

C’è uno zoo sul territorio del complesso. Ospita una famiglia di zebù, lama, asini, una famiglia di pony, mufloni, cervi, capre, procioni, una famiglia di cinghiali, un maiale, una nutria, conigli, oche, piccioni, tacchini, cigni, pavoni. La maggior parte degli animali sono addomesticati, poiché sono abituati a essere nutriti dai bambini. Si precipitano a incontrare le persone e hanno imparato a chiedere il cibo. Il pony batte il ginocchio sulla recinzione, attirando l’attenzione. La capra sta battendo le corna in modo che la gente non la trascuri. Ora gli animali sono spaventati e affamati. C’è ancora fieno e verdure per alcuni giorni. Stiamo cercando cibo nelle cantine dei vicini e alimentarli sotto le esplosioni sta diventando sempre più pericoloso. L’acqua deve essere portata in secchi dal lago, l’approvvigionamento idrico automatico non funziona senza elettricità.

6 marzo. Una colonna di nostri ospiti fugge dalle strade dei campi: il nostro sacerdote, padre Bogdan, mostra loro il percorso usando il suo telefono. Escono dal rifugio antiaereo, e già arrivano altri profughi: una famiglia con due bambini è stata colpita a colpi di arma da fuoco in macchina e non hanno niente, né mezzi per scappare, cercano disperatamente una via d’uscita.

7 marzo. Notte ansiosa mentre il cielo sopra di noi brulica di aerei. Al mattino, la maggior parte del personale lascia il complesso, a eccezione di coloro che rimangono per custodire le strutture. Il portiere e la famiglia del personale, la nostra governante, Oksana Grechka, e suo marito, che non volevano lasciare la loro casa, accettano di dare da mangiare agli animali. Hanno entrambi settant’anni.

Siamo partiti. La cosa più difficile è stata decidere se andare sotto il fuoco o restare. Non ci sono stati annunci ufficiali sui corridoi umanitari e la partenza è stata possibile solo a proprio rischio. Eravamo divisi tra otto macchine. L’unica strada era una via di campagna attraverso un campo, stagni, foreste e un tunnel sotto l’autostrada per Zhytomyr, su cui marciavano i carri armati russi. Alle macchine erano appesi nastri bianchi. Tutti i segnali lungo le strade in Ucraina sono stati rimossi per confondere il più possibile l’occupante. Non c’era Internet e nessuna connessione, quindi ogni svolta sbagliata poteva essere fatale. Lungo le strade tutto è stato distrutto, molte auto abbandonate e bruciate, edifici diroccati, silenzio di tomba. Abbiamo pregato incessantemente. Abbiamo passato un tunnel sotto i carri armati, che erano molto vicini, e ci siamo diretti verso il villaggio in rovina e morto di Buzova. Abbiamo guidato velocemente, dopo un po’ è apparsa la connessione e siamo riusciti ad accendere il navigatore nel telefono.

8 marzo. Siamo salvi, a Chernivtsi, in un centro di smistamento per gli aiuti umanitari e per il transito dei rifugiati.

Intanto al complesso sono arrivati dieci militari russi. Hanno afferrato il guardiano Ivan e minacciato di sparargli, chiedendogli di rivelare la posizione dei mortai, hanno sparato verso Oksana Grechka per farla andare via e prendere suo figlio di otto anni che la stava aiutando; ma Oksana si è aggrappata a Ivan e non lo ha lasciato prendere: «Dove lo stai portando Ivan? Non te lo lascio fare!». I nemici sono usciti e sono andati in un ristorante per rubare dell’alcol. Ecco la forza delle nostre donne!

Dall’11 marzo non c’è più luce né riscaldamento. Internet non funziona, il principale operatore di telecomunicazioni Kyivstar non funziona, le persone del villaggio non hanno contatti tra loro e con noi. I russi portano via i telefoni e li rompono. Sono scioccati da quanto viviamo bene e non riescono a capire «perché li abbiamo chiamati»…!.

Nello zoo occupato del villaggio ucraino dove gli animali sono affamati, sono nati un piccolo muflone e un agnello. La vita va avanti e noi vinceremo! Amici, pregate ora per il nostro villaggio, per quelle persone che sono ancora lì e nei villaggi limitrofi! Le esplosioni si stanno avvicinando e le persone stanno già morendo di fame. I civili implorano: «Dio abbia pietà di noi!».

La domanda

Questo drammatico diario termina con una domanda che è anche un atto di accusa:

«Dove sono ora i valori democratici occidentali? Quante volte ho sentito parlare della tolleranza nei confronti della comunità Lgbtq+; della rimozione degli animali dai circhi; della correzione dell’equilibrio di genere; della sostituzione delle centrali nucleari con energia verde. Allora perché si tollera il massacro del popolo ucraino? Per favore, chiudete i nostri cieli! Dateci armi e aiuti per sconfiggere l’invasore!».

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