Nahel aveva appena diciassette anni, lavorava come fattorino per una pizzeria, e da anni giocava a rugby in una squadra di Nanterre. In questa città della periferia parigina, dove il giovane di origine algerina abitava con la madre, martedì Nahel ha trovato la morte per mano di un poliziotto. Colpevole di essersi allontanato in automobile durante un controllo delle forze dell’ordine, il ragazzo è stato ucciso a sangue freddo con un colpo di arma da fuoco.

«Era un ragazzo molto gentile e premuroso,» ricorda Khadija, una conoscente della famiglia di Nahel a Nanterre, «ho le lacrime agli occhi, non riesco a credere a quello che è successo». Khadija è una delle oltre seimila persone scese in strada a Nanterre per la “marcia bianca” in ricordo di Nahel. Tra le bandiere algerine sventolate dai manifestanti e le parole “Justice pour Nahel” scritte sui cartelli, dalla folla si alza il grido “Police assassins”.

Secondo le prime dichiarazioni delle forze dell’ordine, il poliziotto avrebbe sparato a Nahel per difendersi, dopo il tentativo da parte del ragazzo di investire gli agenti che lo avevano fermato per un controllo. Un video diffuso poco dopo sui social ha però dimostrato che il resoconto della polizia era falso: il ragazzo è stato ucciso da uno dei due agenti posizionati di fianco alla vettura dopo aver fatto ripartire la macchina per allontanarsi dai poliziotti, guidando a bassa velocità.

Nel video, si sente uno dei due poliziotti dire «ti stai per prendere un proiettile in testa» con il fucile puntato verso il ragazzo, prima di far partire il colpo fatale, e l’altro incoraggiarlo: «sparagli!». Il poliziotto che ha sparato è indagato per omicidio volontario ed è in detenzioen provvisoria. «Nel video si vede chiaramente che il ragazzo è stato ucciso a sangue freddo, senza alcun motivo, in maniera ingiusta e sproporzionata,» dice Kyllian Abdelli, giovane ventenne proveniente dalla periferia parigina, anche lui presente alla marcia, «il ragazzo non ha fatto niente, non aveva nessuna arma con sé, e il poliziotto non era in pericolo: non si è trattato di legittima difesa».

Rama Diallo, attivista antirazzista di 19 anni, aggiunge di essere indignata per il fatto che «i poliziotti inizialmente hanno cercato di mentire, di girare la situazione a loro vantaggio, ma abbiamo un video, una prova irrefutabile che Nahel era innocente e che non sarebbe mai dovuto essere ucciso».

«Questa tragedia deve essere l’occasione per sollevare la questione del razzismo della polizia francese», aggiunge inoltre Kyllian, convinto che il colore della pelle di Nahel abbia avuto un ruolo in quello che è successo. «Non penso che, quando si viene fermati in macchina per un controllo, in molti si vedano puntata contro un'arma dalla polizia». A confermare la componente razzista dell’accaduto, la frase (ben documentata nel video) «Tornatene in Africa!» rivolta da un terzo agente a una donna di colore giunta sul luogo.

«Ci riconosciamo tutti in Nahel. Nahel sarebbe potuto essere mio fratello, mia sorella, Nahel sarei potuto essere io,» continua Kyllian, «è per questo che tutte le periferie francesi si stanno mobilitando.» In seguito all’uccisione di Nahel, infatti, sono scoppiate manifestazioni in tutta la Francia, soprattutto nelle periferie intorno a Parigi, ma anche in altre città. Nelle due notti di proteste, anche violente, oltre 150 persone sono state arrestate. 40mila agenti di polizia sono stati mobilitati, ma per il momento l’Eliseo esclude di dichiarare lo stato di emergenza.

Storia di discriminazione

La rabbia delle periferie è anche legata al fatto che l’omicidio di Nahel non è il primo caso di violenza poliziesca contro persone di colore: altre situazioni simili hanno scosso la Francia negli ultimi decenni, e posto il paese di fronte alla violenza e al razzismo delle forze dell’ordine, soprattutto nei quartieri popolari. Una delle più significative è stata la morte del 24enne nero Adama Traoré durante una custodia di polizia nel 2016. Si tratta di una vicenda rimasta ancora senza una conclusione giudiziaria certa, che ha portato a un forte movimento popolare contro la violenza, il razzismo e l’impunità della polizia.

«La condizione per la riconciliazione è che venga fatta giustizia» dice Jérôme Guedj, deputato del partito socialista presente alla “marcia bianca”. «Negli ultimi mesi in Francia si sono moltiplicati i drammi di questo genere: io sostengo la polizia, ma dobbiamo porci la questione di come siamo arrivati a questo punto. Il governo ha la responsabilità di interrogarsi sulle modalità con cui la polizia interviene». Il deputato spiega che, per cominciare, dovrebbe essere rivista la legge sulla pubblica sicurezza approvata nel febbraio 2017, che ha modificato le condizioni in cui gli agenti di polizia possono aprire il fuoco. In particolare, l'articolo 435-1 stabilisce che le forze dell’ordine possono sparare se il conducente di una vettura si rifiuta di rispettare un fermo stradale.

Sono molti quelli che però hanno criminalizzato Nahel e strumentalizzato l’accaduto. Preferisco che muoia della gentaglia piuttosto che dei poliziotti è quello che ha scritto su Twitter Bruno Attal, segretario generale del sindacato dei poliziotti. Ieri sera, le enclave straniere hanno mostrato ancora una volta di cosa sono capaci: sommosse, attentati, incendi dolosi, saccheggi è stato invece il commento del politico di estrema destra Eric Zemmour sulle proteste.

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