Adenike Oladosu cerca soluzioni per due problemi che dal punto di vista dell’ecofemminista nigeriana non possono essere affrontati se non insieme: la mancanza di parità di genere e il cambiamento climatico.

A che punto è oggi il cambiamento climatico e cosa ha ottenuto l’ambientalismo?

Credo che ci sia stato poco progresso confrontato con il grande avanzamento che ha fatto il cambiamento climatico. In Nigeria stiamo vivendo un’ondata di calore estrema e gli effetti si vedono chiaramente: colpisce la popolazione, ma anche la produzione agricola. Ci sono stati parecchi disastri naturali in tutto il mondo, dalle mie parti il lago Ciad è in grossa difficoltà.

Non possiamo aspettare una situazione di loss and damage (i danni per cui la Cop28 ha previsto l’istituzione di un fondo di compensazione, ndr) per agire perché quando ci arriviamo abbiamo già subito una serie di perdite che non possono essere quantificate, come la morte delle persone, o quando vanno perduti siti culturali o naturali.

Dove si può intervenire?

Sappiamo quali sono le cause. Perché non preveniamo gli effetti? Sappiamo che dobbiamo lasciare le fonti combustibili fossili, che lo vogliamo o no, eppure continuiamo ad affidarci a soluzioni come il trading di certificati di CO2: perché non possiamo semplicemente abbattere le emissioni? Scambiare i certificati significa che l’obiettivo della giustizia climatica è stato messo in discussione.

Allo stesso tempo i leader mondiali indicano il 2050 come termine per azzerare le emissioni: se aspettassimo quella data avremmo superato la soglia dell’aumento di 1,5 gradi della temperatura. Questo significa che non sono pronti a prendersi la responsabilità delle loro azioni: quanti di loro saranno ancora leader nel 2050?

Il cambiamento climatico ha effetti differenti su donne e uomini?

È già una realtà per donne e ragazze e peggiora di giorno in giorno: molte di loro percorrono grandi distanze a temperature altissime per recuperare dell’acqua. Anche solo questo sforzo consuma tempo che potrebbero impiegare nella propria emancipazione o nella protezione dell’ambiente.

Tutte ore che potrebbero investire in educazione, influenzando anche fattori non-climatici come la tradizione e la cultura, che interferiscono con l’emancipazione delle donne, che per esempio hanno ancora difficoltà a ereditare terreni.

Che altri problemi vivono?

Non avendo delle proprietà diventa difficile per loro raggiungere la sicurezza alimentare: le donne in Africa meridionale contribuiscono al 60-80 per cento della produzione del sistema alimentare, immagini come sarebbe la situazione se le donne avessero pieni diritti sui terreni che gestiscono. Capovolgerebbe la situazione.

C’è un modo di migliorare la situazione?

Dovremmo rendere ogni settore sensibile alle differenze di genere, in modo da rendere le donne parte integrante del sistema produttivo, non soltanto casalinghe. Anche solo questo ruolo in realtà le espone a rischi ambientali, come le esalazioni della legna che utilizzano per cucinare, o gli effetti delle lunghe distanze che ricoprono a piedi. Queste cose non sono ancora cambiate, ed è per questo che la mia organizzazione I lead climate cerca di rafforzare le donne.

In che modo?

Cerchiamo di fornire loro le risorse che avrebbero a disposizione se per esempio potessero disporre dei terreni, come sementi, fertilizzanti e altri strumenti: in questo modo riescono a rafforzare la loro famiglia e ridurre il fenomeno delle spose bambine perché adesso hanno denaro a disposizione. Abbiamo visto grandi progressi per le 10mila donne che abbiamo assistito, vorrei arrivare a sostenerne un milione. Proviamo a superare il gender gap per cambiare il nostro sistema alimentare, ma avremmo bisogno di tanto altro per colmare le disuguaglianze. Secondo l’Onu ci vorranno 150 anni per superarle.

C’è ancora tempo per intervenire sul cambiamento climatico?

Sì, ma dipende da come decidiamo di impiegare il tempo che ci resta a disposizione perché non vedo molte leader donne nella nostra società: vogliono tutte essere parte della soluzione, sta a noi offrire loro lo spazio sicuro di cui hanno bisogno per crescere e cercare soluzioni che possano migliorare la produttività. E non soltanto nel settore ambientale, ma anche in quello energetico, quello agricolo e l’economia in generale, che beneficia del contributo delle donne.

Che rapporti ci sono con gli attivisti di altri continenti?

La bellezza del movimento per la giustizia climatica è che tutti lottano per lo stesso obiettivo, a prescindere dalla loro provenienza o la loro identità. Magari in America o in Europa ci sono movimenti di massa che non vedete in Africa, ma dipende solo dal fatto che ogni paese è differente.

Non tutto funziona ovunque alla stessa maniera: quando ho iniziato ho pensato a dove potessi avere l’effetto più forte e mi sono rivolta alle scuole, dove non era previsto un insegnamento su questi temi. 

© Riproduzione riservata