Davvero gli italiani sono in buona parte dei pacifisti antiamericani? Davvero lo sono specialmente i cattolici? È ciò che si legge in vari commenti sulla guerra in Ucraina per descrivere coloro che si oppongono alla guerra.

Si tratta di una semplificazione che sbaglia bersaglio, scrutando la società in maniera manichea. Certo esiste da sempre una parte di antiamericani, eredi del partito comunista che mantengono quell’imprinting, assieme a destrorsi fascisteggianti, anche loro non propriamente amici di Washington. Non c’è da sorprendersi.

Ma si tratta ormai di infime minoranze. Ci sono anche pacifisti ideologici o idealisti, ma anch’essi sono meno di quanto appare. Ben altra cosa è quella maggioranza di italiani che davanti alla guerra resta dubbiosa e preoccupata.

Non è pacifismo: è sincera inquietudine per la pace perduta. Se esistesse un’antipatia verso gli ucraini non ci sarebbe quell’enorme slancio di accoglienza e di aiuti che ancora continua. Soprattutto da parte della chiesa e dei cattolici.

Diffidenza per i conflitti

In Italia i cattolici non sono mai stati antiamericani. Non lo sono stati tanto meno i papi o le autorità della chiesa. Tuttavia i cattolici – conservatori, moderati o progressisti – hanno maturato una sostanziale diffidenza per i conflitti.

Dal magistero della chiesa del Novecento hanno imparato che la guerra non è un strumento come un altro ma il male in sé.

Si tratta di un ingranaggio che, una volta acceso, è molto difficile da arrestare, anche da parte dei leader o di chi l’ha iniziato. I cattolici intuiscono che la guerra non serve a nulla: nessuna guerra degli ultimi decenni ha risolto alcunché.

I cattolici hanno una grande paura dell’escalation nucleare: un insegnamento che viene loro in particolare da Giovanni XXIII. Essi sanno bene che la guerra è sempre «inutile strage» e «avventura senza ritorno», come hanno predicato i papi e come dimostra la storia.

Inoltre, non sono sorpresi dalle critiche a tale posizione: già durante la prima guerra mondiale Benedetto XV veniva definito dalla stampa francese “Pilato XV” per aver cercato di fermarla.

Per la chiesa la teologia della guerra giusta è superata: ogni guerra è sempre una guerra fratricida. Si potrebbe dire che non esiste guerra giusta né santa: solo la pace è santa.

L’atteggiamento cattolico non è indifferentismo né relativismo: è profonda diffidenza verso lo strumento guerra e lucida coscienza del male che porta in sé stessa. I cattolici sentono il dovere della pace che è sempre una costruzione difficile e responsabilità di tutti.

Anche buona parte del mondo laico vive i medesimi dubbi. L’opinione pubblica italiana nel suo complesso è attraversata da interrogativi che vanno presi sul serio e non dileggiati. Ci si chiede: “fino a quando?”; “qual è il limite?”.

Le società europee e quella americana non sono tanto diverse a tal proposito; l’unica vera differenza si trova nei paesi dell’est Europa. La simpatia per l’eroica a resistenza ucraina è generale e coinvolge quasi tutti.

Ciò che viene messa in discussione è la “narrazione della vittoria”, che appare pericolosa a molti anche negli Usa.

La memoria delle menzogne

In tutto l’occidente serpeggia una diffidenza per le decisioni dei governi: resta viva la memoria delle menzogne sulle armi di distruzione di massa.

Il fatto che nessun protagonista politico o opinion leader occidentale si sia mai scusato per le errate decisioni delle guerre in Iraq e Afghanistan (e per le bugie), rimane una ferita che ha scavato silenziosamente fossati nelle nostre società, inclusa quella americana.

In molti cittadini c’è un’istintiva reazione di sospetto verso chi appare troppo sicuro che l’unica soluzione sia la guerra totale fino alla vittoria.

A molti non convincono le distinzioni del tipo “la Nato non è in guerra con la Russia”, anche se ciò non conduce ad essere anti Nato. Se si allarga la platea degli scettici, è per carenza reputazionale e di credibilità delle élite. 

Il desiderio di stravincere è stato spesso all’origine di altre guerre, come sappiamo, e ha coperto orribili crimini.

Il desiderio di farsi giustizia, punire e condannare, anche se giustificato, finisce per perpetuare l’ingranaggio violento. Si dice “non c’è pace senza giustizia” ma la realtà dimostra il contrario: non ci sarà nessuna giustizia con la guerra né con la vittoria, ma solo con la pace.

Le battaglie sui principi anche giusti trovano un loro limite davanti alle conseguenze di una guerra che si avvita e di cui si perde il controllo. È questa la scommessa di Putin: trascinarci sul suo terreno in cui la violenza tutto confonde.

Più la guerra dura e più si affievoliscono le responsabilità di chi l’ha iniziata e tutto si mischia in un turbinio di accuse e controaccuse. Ne emerge soltanto una macabra contabilità delle vittime.

Perciò una gran parte della società preoccupata per la pace (cattolici e no), preferirebbe una soluzione negoziale, ragionevole e duramente trattata, con la consapevolezza che si tratta di una strada difficile ma più stabile. Tutti sanno che al tavolo ci si arriverà comunque: meglio dunque giungerci il prima possibile. 

Tutti temono il negoziato perché sarà necessario cedere qualcosa da entrambe le parti e nessuna vuole farlo. Tuttavia, solo acconsentendo a rinunce si potrà tornare ad riavere il bene più grande della pace. Non si tratta di un’illusione ma di qualcosa di vitale per i cittadini comuni e per la povera gente. 

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