La scorsa estate aveva fatto molto discutere una pubblicità con l’attrice Sydney Sweeney. Lo slogan giocava sull’assonanza fra “geni” e “jeans”: l’azienda la mostrava in pose sensuali sostenendo che, in effetti, avesse davvero grandi… jeans. Quel gioco di parole, pensato probabilmente proprio per far discutere, ha indignato diversi commentatori in tutto il mondo (e sui social network): così si evocava l’eugenetica, come se l’essere bionda e dalla pelle chiara implicasse una qualche forma di superiorità.

Nel giro di qualche giorno l’indignazione si è spenta e Sydney Sweeney è tornata a far parlare soprattutto per i suoi film e per la notizia che potrebbe diventare la prossima protagonista femminile in un episodio di 007. Eppure, quel velo di inquietudine, suscitato da una pubblicità, potrebbe in realtà nascondere qualcosa di più serio ancora. E se davvero nell’America di Trump la ricerca e la selezione dei “geni migliori” non fosse più un tabù?

Per avere questo sospetto non bisogna tanto guardare alla pubblicità di un paio di jeans. Bisogna lasciare il sud della California e le stelle di Hollywood, andare più a nord, verso la baia di San Francisco.

Proprio nei quartieri dove crescono le grandi imprese tecnologiche, al sole della Silicon Valley, c’è chi da tempo spende fortune per costruire il superuomo del futuro, partendo da un’idea inquietante: che la selezione naturale sia ormai superata.

Se l’intelligenza artificiale finirà per sovrastare le capacità umane, allora bisogna creare una nuova generazione con un quoziente intellettivo sopra la media. E bisogna partire dai bambini del futuro, da costruire puntando a un quoziente intellettivo superiore.

Scegliere i geni

Ne ha scritto ad esempio il Wall Street Journal, che in un articolo di qualche tempo fa aveva raccontato la crescente ossessione della Silicon Valley per avere figli più intelligenti. Non stiamo parlando di fantascienza, ma di progetti concreti che riguardano la procreazione di bambini con caratteristiche programmate a tavolino.

In gergo si chiama “ottimizzazione genetica”, che è una sorta di eufemismo per indicare proprio questo: i magnati della tecnologia si sono convinti di avere caratteristiche genetiche particolari, che li rendono superiori. L’obiettivo messianico è dunque di costruire una nuova umanità a propria immagine, selezionando accuratamente l’impianto genetico dei propri figli, come si farebbe nella programmazione di un software.

Ci sono dunque ricchi genitori che stanno spendendo cifre notevoli, in media intorno ai 50 mila dollari, per servizi genetici che promettono di selezionare embrioni con quozienti intellettivi più alti.

Start up biotech offrono test sul dna embrionale con l’obiettivo di predire i tratti futuri del nascituro. Per esempio, aziende come Nucleus Genomics ed Herasight già promettono di valutare il potenziale intellettivo degli embrioni. O quanto meno di ridurre al massimo il rischio che possano avere malattie ereditarie.

L’ossessione

In effetti il dibattito sul futuro genetico della prole si inserisce in un filone più ampio: l’ossessione della Silicon Valley per la longevità. Sono sempre di più le start up che promettono di utilizzare dati e test clinici per aumentare l’aspettativa di vita.

Solo che in questo caso non parliamo più di soggetti già in vita, ma di potenziali esseri viventi, che sarebbero scelti sulla base dei propri punti di forza genetici, sempre ammesso e non concesso che tutto questo abbia anche un fondamento scientifico.

Ci sono genetisti che mettono in dubbio che si possa davvero prevedere con accuratezza significativa tratti complessi come l’intelligenza. L’ereditarietà dell’intelligenza è reale e i geni influiscono davvero in parte sul quoziente intellettivo. Ma nel processo intervengono migliaia di varianti genetiche, ciascuna con un effetto minuscolo, senza considerare i fattori sociali e ambientali che pure hanno un’influenza.

Eppure, ci sono start up che promettono – come se pubblicizzassero un paio di jeans – figli con sei punti di quoziente intellettivo in più. Il bioeticista Hank Greely di Stanford ha detto al Guardian che sono promesse esagerate, costruite per illudere i genitori.

Dilemma etico

Il dilemma etico è proprio questo: finché il discorso rimane astratto è più semplice esserne indignati, o persino terrorizzati da certe derive distopiche. Eppure, bisognerebbe fare quanto meno uno sforzo di immaginazione e sfidare la propria morale.

Se questo discorso non fosse davvero più astratto, né pseudoscienza, e se non riguardasse più solo i magnati lontani, ma ognuno di noi: rinuncereste davvero alla possibilità di dare ai vostri figli un futuro migliore? Non vorreste anche voi figli più intelligenti, o almeno con meno rischi di avere malattie genetiche?

Sembra che sia anche il pensiero di Noor Siddiqui, leader della start up californiana Orchid, una delle più avanzate nel campo. Intervenuta al Wired Health 2025, ha sostenuto che lo screening embrionale in futuro sarà lo standard per avere figli.

Orchid non è più fantasia: i suoi screening embrionali sono già applicati in centinaia di cliniche negli Stati Uniti, per ridurre il rischio di malattie come Alzheimer, diabete, disturbo bipolare e schizofrenia (o almeno questa è la promessa).

Il video del primo bambino-Orchid è stato condiviso su X. In un altro post, Siddiqui ha scritto: «Se potessi impedire a tuo figlio di diventare cieco, lo faresti? Di ammalarsi di cancro infantile a 5 anni? Di avere difetti cardiaci? Schizofrenia a 22 anni? Di vivere una vita radicalmente segnata da una pura sfortuna genetica? Questa è una scelta che oggi i genitori possono fare».

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