Nel giorno in cui i Fridays for future sono scesi in piazza nel loro primo sciopero globale per il clima di questo 2023, a Bruxelles slitta – con la complicità del governo italiano – il voto su uno dei programmi più ambiziosi dell’Unione europea per diminuire le emissioni di Co2 nell’atmosfera.

«Il rinvio, a data da destinarsi, del voto alla riunione degli ambasciatori Ue sul regolamento che prevede lo stop dal 2035 alla vendita di auto nuove diesel e benzina è un successo italiano», ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni dagli Emirati Arabi Uniti, dove è arrivata ieri per una visita di stato che segue il suo incontro con il primo ministro indiano Narendra Modi a Nuova Delhi.

«La posizione del nostro governo è infatti chiara: una transizione sostenibile ed equa deve essere pianificata e condotta con attenzione, per evitare ripercussioni negative sotto l’aspetto produttivo e occupazionale», ha aggiunto la premier.

Per Meloni è giusto provare a raggiungere l’obiettivo di azzerare le emissioni di Co2, «ma deve essere lasciata la libertà agli stati di percorrere la strada che reputano più efficace e sostenibile». Mentre esulta per il rinvio del voto di Bruxelles, Meloni ha incontrato ieri il ministro dell’Industria emiratino nonché presidente designato della Cop28, Sultan Al Jaber. Un incontro che porterà oggi alla firma di una serie di intese e accordi di cooperazione fra il colosso italiano Eni e la compagnia petrolifera nazionale Adnoc (Abu Dhabi national oil company) che coprirà molteplici ambiti della transizione energetica.

Salvini

Prima di Meloni aveva esultato il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, il quale in mattinata aveva annunciato che la decisione del Consiglio europeo di rinviare il voto. «Grande soddisfazione della Lega per il rinvio del provvedimento», si legge in una nota, un obiettivo raggiunto «anche grazie all’intesa con altri paesi europei a partire dalla Germania, un accordo reso possibile dalle relazioni dirette del vicepremier e ministro Matteo Salvini».

Il leader della Lega, ricorda trionfante, ne aveva discusso con l’omologo tedesco Volker Wissing: «Con questo governo, l’Italia sa farsi valere sui tavoli internazionali per difendere milioni di posti di lavoro». Anche se l’Italia si era fatta valere già nel governo precedente, preannunciando, però, l’approvazione da cui adesso il governo presieduto da Giorgia Meloni si sta tirando indietro.

Le premesse

Le premesse si erano già viste qualche settimana fa, in occasione del voto del parlamento europeo sul nuovo regolamento. Nonostante la plenaria avesse detto sì, i parlamentari di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia hanno votato compattamente contro. Lo stesso giorno, il ministro Adolfo Urso ha organizzato un tavolo auto al ministero con Stellantis, lamentandosi della direzione presa dal precedente governo.

La rottura con la linea dell’esecutivo di Mario Draghi è diventata definitiva, e il numero di paesi contrari al blocco delle auto più inquinanti è cresciuto, al punto che la riunione degli ambasciatori Ue in vista di quella dei ministri era stata spostata a oggi. Alla fine è stata definitivamente cancellata. Sia questa, sia quella successiva del 7 marzo che avrebbe dovuto suggellare il via libera.

Il testo al vaglio del Coreper era stato concordato con il parlamento europeo ed era già stato approvato in linea di principio con il solo voto contrario della Polonia e con l’astensione della Bulgaria. Oggi l’Italia si tira indietro e insieme a lei l’altro voltafaccia di peso è stato quello della Germania. Entrambi i paesi si erano detti pronti ad andare avanti a novembre, ma da allora la retorica della “neutralità tecnologica” è andata avanti e così lo stop che sembrava ormai cosa fatta è tornato a rischio.

Anche il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha esultato per il “successo” del suo governo. «I target ambientali perseguiti attraverso una transizione sostenibile e socialmente equa non sono compatibili con uno stop secco al 2035», ha detto.

Fratin continua a parlare di ideologia: «Il nuovo rinvio in sede Ue sulla decisione riguardante lo stop ai motori termici al 2035 tiene giustamente conto di una forte resistenza di alcuni paesi europei, con l’Italia in prima fila, a un’impostazione del regolamento troppo ideologica e poco concreta».

L’Italia – prosegue Pichetto – ha una posizione molto chiara: «L’elettrico non può essere l’unica soluzione del futuro». Una filiera per pochi prosegue, mentre bisogna «puntare sui carburanti rinnovabili», questione di «peculiarità nazionali» e di «tempistiche compatibili con lo sviluppo del settore dell’automotive». Una linea che si accorda a quella della partecipata Eni. Il Cane a sei zampe punta da tempi sui biocarburanti, e parla di pragmatismo attraverso le associazioni confindustriali, di cui fa parte, Unem e Proxigas.

E, anche se meno esplicitamente, è anche la linea di Stellantis che a parole punta alla trasformazione produttiva al 2030. Ma l’amministratore delegato, Carlos Tavares, ha anche chiesto alla Ue più «pragmatismo per uscire dal dogma del 2035 e dell’elettrico».

Pichetto adesso crede nel ribaltamento del tavolo: «Ci auguriamo che questa pausa consenta anche ad altri paesi e alle stesse istituzioni europee una ulteriore riflessione su un tema così importante per cittadini e imprese».

Chissà cosa avranno pensato ieri, invece, i giovani ambientalisti europei che dalle piazze di centinaia di città dei 27 paesi membri chiedevano ai loro governi nazionali e alle istituzioni di Bruxelles risposte serie all’avanzare della crisi climatica.

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