Dopo un periodo di relativa quiete giudiziaria, per Trump sono tornate le carte di tribunale: il team legale dell’ex presidente ha ricevuto l’incriminazione dell’ex presidente per la detenzione illegale di documenti riservati da parte del procuratore speciale Jack Smith, nominato il 18 novembre 2022 dal procuratore generale Merrick Garland per indagare liberamente, scevro da qualsiasi influenza politica.

Tra le accuse ci sono anche quelle riguardanti l’intralcio alla giustizia, falsa testimonianza, associazione a delinquere e violazione dell’Espionage Act del 1917, una legge promossa dall’amministrazione di Woodrow Wilson per punire il potenziale spionaggio a favore di potenze straniere. Un caso che si è complicato quando la Cnn ha diramato in esclusiva il contenuto di alcune intercettazioni dove Trump ha ammesso candidamente che il contenuto di quelle carte non era stato da lui desecretato. E quindi era stato sottratto in modo illegale.

Questo peraltro è l’ennesimo precedente rotto da Donald Trump durante la presidenza, essendo stato il primo ex inquilino della Casa Bianca a venire imputato di un crimine federale, per cui è stato aperto un caso dal titolo significativo, The United States v. Donald Trump, nel Tribunale Federale distrettuale per la Florida meridionale dove ad ascoltare le ragioni di accusa e difesa il prossimo 13 giugno, con Trump che dovrà comparire di fronte alla Corte quello stesso giorno e di fronte a lui, ironia della sorte, ci sarà Aileen Cannon, da lui nominata il 21 maggio 2020. A tormentare i sonni di Donald Trump però c’è un’altra indagine in mano sempre a Jack Smith, quella riguardante il suo coinvolgimento nell’insurrezione armata che travolse il Campidoglio il 6 gennaio 2021 durante il conteggio dei voti elettorali delle elezioni presidenziali del 2020.

Un altro processo che vede coinvolto l’ex presidente è quello in corso sempre a Manhattan, sotto la guida del procuratore distrettuale Alvin Bragg, che lo accusa di aver orchestrato una cospirazione criminale per il pagamento di 130mila dollari alla pornostar Stormy Daniels, tramite quello che allora era il suo avvocato Michael Cohen. Curiosamente Cohen è coinvolto anche in un caso dove Trump è nell’inconsueto ruolo di parte lesa: l’ex presidente accusa il suo legale di aver rotto il patto di fiducia dopo aver rivelato il suo ruolo nell’affaire Daniels in interviste, libri e podcast e chiede la cifra monstre di 500 milioni di dollari in risarcimento.

Difficile vengano ottenuti. Nel caso dei documenti invece, la posizione dell’ex inquilino della Casa Bianca è sempre più indifendibile anche per precedenti remoti: secondo un’inchiesta del quotidiano Usa Today sin dal 1973 Trump o la sua organizzazione avrebbero sistematicamente distrutto documenti ufficiali riguardante il business o missive provenienti da tribunali e avvocati. Infine, c’è un caso che esula sia dalle competenze del dipartimento di giustizia che dalla sua città natale New York è quello che riguarda le indebite pressioni fatte nei confronti del segretario di stato della Georgia Brad Raffensperger: quest’ultimo, repubblicano, ha ricevuto pressioni telefoniche per trovare “circa diecimila voti” per vincere lo stato.

Nessuno di questi casi però appare in grado di disturbare i consensi di Trump per le primarie repubblicane: non è un caso che sia stato difeso dal solito drappello di fedelissimi al Congresso, comprendente, tra gli altri, i senatori J.D. Vance e Ted Cruz. Questi ultimi hanno parlato di un dipartimento di giustizia “politicizzato” mentre gli esponenti più istituzionali, a cominciare dal leader repubblicano al Senato Mitch McConnell, tacciono prudentemente.

Il partito però si prepara a un’eventualità che fino a ieri appariva remota: quella che Trump possa correre per la presidenza durante un periodo di detenzione. In questo caso un precedente c’è: quello di Eugene Debs, candidato del Partito Socialista alle presidenziali del 1920. Anche lui era in carcere per aver violato l’Espionage Act.

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