La guerra «lunga e difficile» che il premier israeliano ha annunciato alla sua gente, e quella «nuova fase» fatta di attacchi a Gaza anche via terra e bombardamenti sempre più intensi, stanno già incrinando molti equilibri.

Il primo a risentirne è Benjamin Netanyahu, che si lancia in avanti scaricando colpe sugli apparati di sicurezza israeliani; poi, una volta avvertiti gli effetti destabilizzatori di questa sua mossa, torna indietro, cancella tweet, offre scuse. Le tensioni tra premier e membri del governo, e tra governo e intelligence, nel pieno di un attacco, non hanno conseguenze solo interne.

C’è poi un altro ordine che collassa: è «l’ordine civile che sta iniziando a crollare dopo tre settimane di guerra e uno stretto assedio a Gaza», per citare Thomas White, che a Gaza guida l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, e che racconta dei depositi di farina e di beni di prima necessità assaltati per disperazione nel sud della striscia.

E poi, fuori da Israele e fuori da Gaza, c’è il tema dei fragili equilibri regionali, e ancor più in là, ci sono le scelte di Joe Biden. Fino a che punto l’amministrazione dem, con le elezioni alle porte, può reggere il massacro di civili, e quanto è forte il rischio che l’Iran intervenga nelle dinamiche di conflitto? Le dichiarazioni e le telefonate che sono partite questa domenica dalla Casa Bianca mostrano che anche questi equilibri sono sempre più incrinati.

Prima l’attacco di Hamas contro israeliani inermi, e poi la scelta del governo Netanyahu di tempestare la popolazione palestinese moltiplicando il numero di morti innocenti, si stanno riverberando su ogni versante della vita politica. Persino nelle dinamiche interne alla coalizione di governo di Giorgia Meloni, con Matteo Salvini che alza i toni e va alla guerra di civiltà.

Le mosse scomposte di Bibi

Lo scontro del weekend tra il premier israeliano e l’intelligence mostra che neppure la “stretta attorno alla bandiera” sta salvando Netanyahu da se stesso.

Prima dell’attacco di Hamas, la società israeliana aveva protestato senza sosta contro le derive indemocratiche del premier e del suo governo di estrema destra, e aveva piantato le tende per opporsi alla riforma della giustizia.

Dopo l’attacco del 7 ottobre, Benjamin Netanyahu ha rinviato ogni discussione a «dopo la guerra», e si è schermito dietro il cosiddetto rally ‘round the flag effect, cioè l’effetto di stretta attorno alla bandiera (e al leader) di fronte a un nemico esterno. Ma nel frattempo si sono fatte incalzanti le critiche: come mai l’apparato difensivo di Israele si è fatto prendere così alla sprovvista da Hamas, visto che quell’attacco terroristico era stato preparato lungamente e al millimetro? E perché è intercorso così tanto tempo tra l’inizio dell’assalto e un’adeguata reazione dell’esercito?

Queste défaillances, attestate anche da quotidiani e amministrazione statunitensi, hanno comportato finora ammissioni di fallimento anche tra i vertici degli apparati di sicurezza; ad esempio Aharon Haliva, capo dell’intelligence militare, il 17 ottobre ha scritto ai suoi sottoposti che riconosceva il fallimento nel non aver anticipato l’attacco del 7 e che se ne assumeva lui la responsabilità. Ma Netanyahu? Ha sempre risposto – anche sabato in una conferenza stampa col ministro della Difesa al fianco – che il tema delle responsabilità andrà affrontato, ma «dopo la guerra».

Ma poi nella notte di sabato, poco dopo quella conferenza, in un tweet la presidenza del Consiglio si è scrollata di dosso ogni colpa, facendola scivolare sull’intelligence. Non è la prima volta che emergono tensioni: la scelta di Netanyahu di costruire un muro sotterraneo attorno alla striscia di Gaza – per poi spostare truppe verso la Cisgiordania – aveva per sua stessa ammissione «suscitato grande opposizione». Il tweet nel quale il premier mette per iscritto che «fino allo scoppio della guerra» l’intelligence non gli ha mai riferito le intenzioni di Hamas ha scatenato il putiferio.

«Tutti i funzionari della sicurezza, compresi il capo dell’intelligence militare e il capo dello Shin Bet, avevano valutato che Hamas era stato dissuaso e stava cercando un accordo», scrive la presidenza del Consiglio in quel tweet accusatorio che poche ore dopo cancella. Strigliato anche da Benny Gantz, che è entrato nel gabinetto di emergenza questo mese, Netanyahu ha ritirato tutto e ha chiesto scusa. Resta l’ordine incrinato, nel pieno di un attacco a Gaza sempre più intenso.

Gaza e gli equilibri incrinati

Nella striscia intanto il bilancio dei morti sfiora gli 8mila nei dati Onu, e il 66 per cento è composto da donne e bambini (questi ultimi circa 3200).

Dopo che l’esercito israeliano è entrato da nord, premendo perché la popolazione sfollasse verso sud, qui «il massiccio spostamento sta esercitando un’enorme pressione sulle comunità», spiega Thomas White di Unrwa, l’agenzia Onu, mentre racconta delle migliaia di persone «disperate, frustrate e spaventate» che hanno «fatto irruzione in vari magazzini Unrwa portando via farina e beni di prima necessità». Questo è «un segnale preoccupante che l’ordine civile sta iniziando a crollare per guerra e assedio».

Stop alle armi, aiuti umanitari e liberazione degli ostaggi sono stati invocati questa domenica tanto da Bergoglio che dal segretario generale Onu. António Guterres rileva che «la situazione a Gaza è di ora in ora più disperata e invece di una pausa umanitaria Israele ha intensificato le operazioni militari».

In questo contesto il monito lanciato dagli Usa all’Iran perché non si allarghi il conflitto rischia di finire inascoltato. Ed è anche per il rischio di contagio, che l’amministrazione Usa ha fatto sapere di aver chiesto a Israele di distinguere tra terroristi e civili, e ha fatto trapelare di esser stata determinante per il ripristino delle comunicazioni questa domenica a Gaza.

Joe Biden ha chiamato Netanyahu per ribadire il concetto; sa del resto che, come notano Gideon Rachman e altri commentatori, «i giovani elettori e i progressisti sono furiosi per il sostegno di Biden a Israele e questa è una pessima notizia per una sua rielezione».

Intanto anche Matteo Salvini pensando alle elezioni strattona la sua coalizione lanciando «la piazza per la difesa dell’occidente il 4 novembre», ed evoca proprio quella guerra di civiltà che Meloni in aula pochi giorni fa aveva definito come «la trappola da evitare».

© Riproduzione riservata