Settembre è stato un mese di celebrazioni a Kharkiv, la seconda città dell’Ucraina. Un anno fa, una vittoriosa controffensiva delle forze armate ucraine ha liberato la regione dall’assedio a cui era sottoposta dall’inizio dell’invasione su larga scala. Fino a quel momento, Kharkiv veniva bombardata quotidianamente dall’artiglieria, racconta Christian Bain, un volontario originario di Chicago che lavora in un centro che ospita circa cinquanta anziani non autosufficienti che hanno perso casa e famiglia nei combattimenti: «Era impossibile per i nostri ospiti avere qualche tipo di recupero psicologico tra lo scoppio costante delle bombe». Oggi la città è ancora bombardata dai missili russi, ma la situazione è molto migliorata.

A un anno di distanza, i risultati spettacolari del contrattacco di Kharkiv, quando in quattro settimane le truppe di Kiev avevano liberato 12mila chilometri quadrati di territorio occupato, sembrano appartenere a un’altra epoca. Da giugno a oggi, a un costo di vite e mezzi molto superiore, gli ucraini hanno de-occupato appena 370 chilometri quadrati. Ai russi è andata poco meglio: dopo aver attaccato per tutto l’inverno e fino alla scorsa primavera sono avanzati di appena 800 chilometri quadrati. In tutto è passata di mano una superficie di territorio inferiore a quella del comune di Roma.

Dopo le grandi speranze di una vittoria nel corso del 2023, alimentate dai media e dai sostenitori di entrambe le parti, la guerra si è trasformata in uno stallo dove nessuno sembra in grado di assestare un colpo decisivo all’avversario. Questa situazione sembra molto lontana dal favorire un cessate il fuoco. Mentre il fronte si congela sulle posizioni occupate da una parte e dall’altra, nelle retrovie politica e diplomazia si muovono nel tentativo di assicurare alla propria parte un vantaggio in un conflitto che sembra sempre più una gara di resistenza.

Tonnellate di armi

Per combattere una guerra lunga servono armi e procurarsi nuove forniture è uno degli obiettivi tanto di Kiev quanto di Mosca. Su questo fronte gli ucraini sembrano avere un netto vantaggio. Questa settimana, il ministro delle Forze armate francesi, Sébastien Lecornu, è arrivato in Ucraina accompagnato da una ventina di rappresentanti di altrettanti produttori di armi per discutere possibili progetti congiunti. Pochi giorni prima, il governo federale tedesco aveva dato il via libera all’azienda Rheinmetall per costruire un’officina di riparazioni e manutenzione nel paese, il primo passo per iniziare a produrre armi sul territorio ucraino. Ieri, sempre a Kiev, si è concluso una fiera dell’industria della difesa che ha visto partecipare i rappresentati di 165 società provenienti da 26 paesi diversi. «Il nostro obiettivo a breve termine è rafforzare la cooperazione tra l’Ucraina e i produttori di armi stranieri», ha detto sabato il primo ministro ucraino, Denys Shmhyal.

Isolata dalle sanzioni, la Russia può contare su molti meno alleati per rafforzare la sua produzione militare. Ma in compenso, la sua industria bellica parte da una base molto più solida. Secondo recenti stime, Mosca può produrre fino a due milioni di proiettili di artiglieria l’anno, più di tutta la produzione di Europa e Stati Uniti messa insieme.

Nel frattempo il Cremlino sta percorrendo tutte le poche strade a sua disposizione per trovare nuove forniture. Dopo il viaggio in Russia di inizio settembre, il leader norcoreano Kim Jong-un ha annunciato la sua intenzione di aumentare in modo «esponenziale» la produzione di armi atomiche nel suo paese. La notizia ha subito fatto sospettare accordi sottobanco con la Russia per la fornitura di armi in cambio di materiale nucleare.

La politica

L’arrivo di armi in Ucraina dipenderà dalla volontà politica degli alleati e questa, a sua volta, è legata a due elezioni chiave. Le prime sono quelle che alcuni alleati vorrebbero che Kiev tenesse il prima possibile. Il termine del parlamento ucraino scadrà tra pochi giorni e quello di Volodymyr Zelensky a marzo. Ma la legge ucraina proibisce le elezioni in tempo di guerra e diversi alti funzionari di Kiev hanno detto che è impossibile organizzare un voto con milioni di ucraini fuggiti all’estero e altre centinaia di migliaia impegnati al fronte.

Ma le pressioni di alcuni alleati dell’Ucraina per cercare di organizzare un voto non si attenuano e lo stesso Zelensky ha lasciato intendere che esiste una possibilità. «Il paese è pronto al voto», ha detto all’inizio di settembre, per la seconda volta in pochi giorni. Nel frattempo, opposizione e organizzazioni della società civile ucraina avvertono che un voto nel mezzo del conflitto rischia di indebolire, invece che rafforzare, la democrazia ucraina.

Una seconda elezione però rischia di rendere inutile qualsiasi sforzo da parte ucraina di ingraziarsi gli alleati. Si tratta delle presidenziali americane, fissate per novembre 2024. Il candidato repubblicano favorito, Donald Trump, ha già fatto sapere che se dovesse vincere cancellerà o ridurrà gli aiuti destinati all’Ucraina. «Ovviamente la Russia conta molto sull’esito delle elezioni negli Stati Uniti», aveva detto Zelensky poche settimane fa.

Nel frattempo, l’ala destra del partito repubblicano è già impegnata a sabotare il nuovo pacchetto di aiuti che la Casa Bianca vorrebbe far approvare nelle prossime settimane e la visita di Zelensky a Washington una settimana fa non sembra sia riuscita a sbloccare la situazione.

Una terza elezione, questa dall’esito scontato, è attesa in Russia per marzo, quando il presidente Vladimir Putin si candiderà per il suo quinto mandato. Ci sono pochi dubbi sul risultato del voto, ma con la situazione economica del paese che continua a peggiorare e il rischio che le elezioni facciano da punto focale per il dissenso politico e quello sociale, le agenzie di sicurezza stanno tenendo la guardia molto alta.

Volontà di combattere

Le armi e le munizioni che Ucraina e Russia riusciranno a produrre o a ottenere dai loro alleati nei prossimi mesi serviranno più a difendere le posizioni conquistate che a imporre una svolta al conflitto. Per cercare una svolta che al fronte non sembra possibile, gli alti comandi dei due eserciti si preparano a colpire nelle retrovie del nemico, nella speranza di fiaccare la sua volontà di proseguire il conflitto.

Il 21 settembre, l’aviazione russa ha lanciato il primo attacco della attesa campagna contro le infrastrutture energetiche dell’Ucraina, colpendo linee elettriche, trasformatori e centrali energetiche. Si tratta del primo bombardamento di questo tipo in sei mesi, dopo che l’arrivo della primavera aveva messo fine alla campagna che lo scorso inverno hanno danneggiato oltre il 50 per cento della rete elettrica ucraina, causando blackout che hanno lasciato milioni di persone al freddo e senza elettricità per ore e a volte giorni.

Gran parte dei danni inflitti lo scorso inverno è stata riparata, ma oggi la rete energetica ucraina è estremamente fragile. «Anche senza attacchi russi, se la temperatura scenderà sotto i -7 gradi saremo costretti a disconnettere parte della rete», ha detto pochi giorni fa Serhii Kuiun, della società di consulenza A95 durante una conferenza stampa di esperti di energia.

Le autorità ucraine sperano che l’esperienza acquisita lo scorso anno, unita agli aiuti degli alleati (la Svezia ha annunciato proprio in questi giorni oltre 20 milioni di euro in nuovi aiuti destinati alla rete elettrica), consentirà di evitare danni catastrofici. L’obiettivo è avere una distribuzione dell’energia quanto più possibile regolare, con blackout programmati di poche ore per volta.

Nel frattempo, le forze armate di Kiev provano a infliggere alle città russe lo stesso trattamento. Ieri notte, il governatore della città russa di Bryansk ha detto che droni ucraini hanno colpito una non meglio specificata «infrastruttura energetica» nel villaggio di Pogar, causando un blackout. Sembra difficile che con le magre risorse a loro disposizione gli ucraini possano causare danni estesi alle città russe. Ma in questa guerra di volontà anche gli attacchi simbolici possono avere un’importanza cruciale.

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