Roman Polanski ha fatto un bel film sul caso Dreyfus, che abbiamo visto in molti (versione italiana L’ufficiale e la spia). Fiumi di inchiostro, non ultimo il libro di Robert Harris da cui è tratta la sceneggiatura del film, sono stati versati su quel caso.

La nostra coscienza di alcune ingiustizie paradigmatiche della nostra storia, che vedono l’odio razziale o sociale di larghe componenti della società sfogarsi su una vittima designata – un capro espiatorio –  è molto acuta.

Ma perché allora è così debole, quasi inesistente, quella che abbiamo delle ingiustizie presenti, di quelle che avvengono sotto i nostri occhi distratti o indifferenti, e magari durano quanto la nostra vita, eppure continuiamo a ignorarle?

È il caso della vita intera che è stata sottratta quarantacinque anni fa a Leonard Peltier, indiano americano nativo del Dakota, attivista dei diritti umani in difesa della dignità del suo popolo, nato nel 1944 e arrestato dall’Fbi nel 1974, in seguito condannato a due ergastoli per l’omicidio di due agenti e mai liberato nonostante nel frattempo – e già da una ventina d’anni – siano venuti alla luce i falsi che hanno permesso di costruire e sostenere questa accusa in assenza di qualunque prova di colpevolezza. Esattamente come nel caso Dreyfus – salvo che qui non c’è stato alcun riscatto, alcuna catarsi.

Ho ricevuto un video con cui Luisa Morgantini, una delle donne più ammirevoli per la generosità e la tenacia priva di risvolti ideologici con cui si batte da una vita contro le ingiustizie ignorate dai più, ex vicepresidente del parlamento europeo, presidente di Assopace Palestina, fra le fondatrici dell’associazione Donne in nero, lancia un ennesimo appello per la liberazione di Leonardo Peltier, che si trova facilmente su YouTube.

Chi è Leonardo Peltier

American Indian Leonard Peltier, who is serving two life sentences for the 1975 murder of two FBI agents, is shown in prison, in Feb. 1986. (AP Photo/Cliff Schiappa)

Riporto qui alcune informazioni su Peltier, per la cui liberazione il parlamento europeo ha emesso già due risoluzioni, nel 1994 e nel 1999 – oltre a un recente pronunciamento nel 2021 – all’indirizzo del governo federale statunitense perché conceda la grazia a quest’uomo il cui processo Amnesty international ha denunciato come farsa giudiziaria.

Sono tratte da una breve nota di presentazione dal libro autobiografico di Peltier La mia danza del sole. Scritti dalla prigione, Fazi, 2005).
«Accusato ingiustamente dal governo americano – ricorrendo a strumenti legali, paralegali e illegali – dell’omicidio di due agenti dell’Fbi nel 1975 (un breve resoconto tecnico della farsa giudiziaria è affidato all’ex ministro della Giustizia degli Stati Uniti Ramsley Clark, autore della prefazione), Peltier, al tempo uno dei leader di spicco dell’American Indian Movement (Aim), marcisce in condizioni disumane in una prigione di massima sicurezza da quarantacinque anni.

Nonostante la sua innocenza sia ormai unanimemente sostenuta dall’opinione pubblica mondiale, nonostante una campagna internazionale in suo favore che ha coinvolto il Dalai Lama, Nelson Mandela, il subcomandante Marcos, Desmond Tutu, Rigoberta Menchù, Robert Redford (che sulla vicenda di Peltier ha prodotto il documentario Incident at Oglala), Oliver Stone, Howard Zinn, Peter Matthiessen, il parlamento europeo e Amnesty international, per il governo americano il caso del prigioniero 89637-132 è chiuso.

Non sorprende dunque che Peltier sia divenuto un simbolo dell’oppressione di tutti i popoli indigeni del mondo e che la sua vicenda abbia ispirato libri (Nello spirito di Cavallo Pazzo di Peter Matthiessen), film (Cuore di tuono di Michael Apted, per esempio) e canzoni (i Rage against the machine hanno dedicato a lui la canzone Freedom).

In parte lucidissimo manifesto politico, in parte toccante memoir, questa è la straordinaria storia della sua vita, raccontata per la prima volta da Peltier in persona. Una meravigliosa testimonianza spirituale e filosofica che rivela un modo di concepire la vita, ma soprattutto la politica, che trascende la dialettica tradizionale occidentale e i suoi schemi (amico nemico, destra sinistra e così via): i nativi la chiamano la danza del sole».

Edificare l’umano

A oggi Peltier è stato proposto per il premio Nobel sette volte. È ampiamente riconosciuto per il suo operato umanitario e ha ricevuto numerosi riconoscimenti nell’ambito dei diritti umani.

Di recente ha ricevuto il riconoscimento 2015 Defender of Pachamama (Madre Terra) conferito dal presidente della Bolivia Evo Morales; nel 2016 il premio Frantz Fanon conferito dalla Fondazione Frantz Fanon in Francia.

Ecco: dal punto di vista filosofico, cioè di chi, poverissimo di strumenti di indagine scientifica ed empirica, pensa e ragiona a mani nude, il caso Peltier pone una questione molto ardua. C’è chi ha passato la giovinezza in carcere, ma una volta liberato è riuscito a vivere e a eternarsi nel nome delle ragioni morali per cui aveva sofferto. Pensate a Nelson Mandela, o per restare all’Unione europea, ad Altiero Spinelli.

C’è chi la vita l’ha persa per quelle ragioni morali, e in cambio ha guadagnato l’eternità – pensate a Martin Luther King. Ma per noi che non sappiamo se c’è in cielo un libro della vita o no – come purtroppo sembra più probabile – è una spina dolorosa, che queste figure di grandi edificatori debbano condividere la gloria terrena con altre figure, quelle che la loro gloria, e anche quella delle loro bandiere, non hanno esitato a costruirla sulle ragioni della forza, al prezzo di molto sangue. Da Napoleone a Lenin.

Se a un uomo nato per edificare l’umano si può rubare l’intera vita, e non con la forza cieca dell’ingiustizia sociale, di cui periscono i più, ma con le armi del diritto e le insegne della Giustizia e della Libertà che aprono la Costituzione degli Stati Uniti d’America, come crederemo ancora in queste parole umane? Come sopravviveremo alla risata di scherno, diabolica, di cui cinismo della Realpolitik sta avvolgendo il mondo?

© Riproduzione riservata