Con un video in cui denuncia il tradimento dell’establishment e annuncia la discesa in campo di una nuova generazione di leader, la repubblicana Nikki Haley è diventata la prima sfidante ufficiale di Donald Trump alle primarie del Gop, in vista delle elezioni presidenziali del 2024.

Sull’ex governatrice della South Carolina si ricorda soprattutto il memorabile incipit di un ritratto di Tim Alberta pubblicato sul magazine di Politico nel febbraio del 2021: «Alla fine dello scorso anno, Nikki Haley aveva un amico che stava attraversando un periodo difficile. Aveva perso il lavoro ed era stato sfrattato dalla sua casa. Riceveva cattivi consigli da persone cattive, che gli riempivano la testa di fantasie autodistruttive. Sembrava che stesse perdendo contatto con la realtà. Preoccupata, lo aveva chiamato. “Volevo assicurarmi che stessi bene”, gli aveva detto. “Sei il mio presidente, ma sei anche un mio amico”».

In queste righe era sintetizzato il dramma di Haley, prima governatrice dello stato e repubblicana con un profilo tipico della tradizione Reagan-Bush, che dopo furibonde battaglie con il tycoon durante la sua ascesa si era trovata ad accettare il posto di ambasciatrice americana all’Onu offerto proprio da Trump, che nel tempo è diventato anche un “amico”. 

Durante le primarie del 2016 – nelle quali aveva sostenuto il senatore della Florida Marco Rubio – aveva detto: «Non smetterò di combattere con un uomo che sceglie di non ripudiare il Ku Klux Klan. Non è questo che vogliamo come presidente. Non permetteremo che succeda nel nostro paese».

L’illusione trumpiana

Quando invece è successo, Haley si è unita alla pattuglia dei repubblicani che avevano creduto di poter orientare il nazionalismo trumpiano dall’interno, incanalando in una direzione politica sensata le ruggenti passioni del popolo che lui aveva saputo intercettare, e per farlo si era premurata di ottenere dal presidente di essere inclusa nel suo gabinetto e nel Consiglio per la sicurezza nazionale. 

Lui aveva accettato e poi l’aveva tagliata fuori senza battere ciglio, riducendola a una fra le figuranti nel reality show della Casa Bianca. Alla scadenza del suo mandato, nel 2019, ha rassegnato le dimissioni e ha disperatamente tentato negli anni successivi di tenere un filo di contatto con Trump. 

Ha criticato il secondo impeachment contro il presidente uscente e ha preso le distanze in modo soltanto generico dal suo “amico” quando è entrato nella spirale del rifiuto dei risultati delle elezioni che ha portato all’assalto di Capitol Hill del 6 gennaio 2021.

La sua critica più esplicita è stata questa: «Molte delle sue azioni dopo le elezioni sono state sbagliate e saranno giudicate severamente dalla storia».

Gli altri candidati

Due anni fa Haley ha detto che non avrebbe sfidato il suo ex presidente alle primarie, ma nel tempo ha cambiato idea. Fra le ragioni più citate c’è la necessità di un ricambio generazionale nel partito: Haley ha 51 anni, Trump 76.

Indiana-americana figlia di immigrati del Punjab, Haley è stata la prima donna a guidare lo stato e la seconda governatrice di origine indiane negli Stati Uniti, dopo il repubblicano Bobby Jindal in Louisiana. 

È la prima ad avere ufficializzato la sua candidatura alle primarie dopo Trump, ma molti altri verranno: sulla carta il più competitivo è il governatore della Florida, Ron DeSantis, e fra i possibili competitor ci sono l’ex segretario di Stato, Mike Pompeo, l’ex vicepresidente, Mike Pence, e il senatore Tim Scott, anche lui della South Carolina. 

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