Fino a pochissimo tempo fa, in uno scenario politico nazionale che andava sempre più polarizzandosi tra due partiti che andavano via via disseccando la loro componente centrista e moderata, le politiche che venivano promosse all’interno dei vari stati sembravano rispecchiare una sorta di pragmatismo vecchio stile. Infrastrutture, sanità, fisco e politiche scolastiche.

Al massimo, gli aspetti controversi si focalizzavano sui programmi d’insegnamento, su quanto avessero influito o meno le lobby evangeliche in stati conservatori come il Kansas.

Se andiamo a vedere le leggi che sono entrate in vigore negli stati americani testimoniano come invece il clima di contrapposizione permanente che viene definito delle culture wars, ovvero dei conflitti culturali che coinvolgono polemiche di natura politica su questioni etiche che, pur avendo una certa importanza, vengono trivializzate per ragioni elettorali.

Il caso texano

Andiamo con ordine partendo da uno stato come il Texas che già negli scorsi anni aveva preso di mira i libri presenti nelle biblioteche scolastiche che contenevano riferimenti al mondo Lgbtq+, alla cosiddetta “Critical Race Theory” (una discussa teoria legale che afferma l’inerente razzismo delle istituzioni americane) e ad altri argomenti ritenuti “non adatti” da alcuni deputati statali conservatori.

Il 1° gennaio le università che vengono integralmente sostenute da fondi pubblici, tra cui ci sono istituzioni prestigiose come la A&M University e la University of Texas ad Austin, non potranno più tenere corsi di aggiornamento che riguardano la diversità, l’eguaglianza di genere e l’inclusione: perché, secondo alcuni rappresentanti repubblicani, in realtà servirebbero solo a diffondere idee di sinistra radicale e a proibire il pensiero conservatore.

Le guerre sul genere

Altri tre stati a maggioranza repubblicana invece hanno proibito la transizione sessuale dei minori, anche quando c’è il consenso dei genitori all’intervento: Idaho, Louisiana e West Virginia. In quest’ultimo caso c’è una parziale eccezione: qualora due dottori facciano una diagnosi di grave disforia di genere.

Si ravvisa però una novità: anche gli stati a maggioranza dem sembrano aver intrapreso una strada di conflitto di natura culturale, a cominciare dalla California, che ha varato un provvedimento molto caro a un pezzo importante dell’intellighenzia progressista: la neutralità di genere dei reparti giocattoli nei centri commerciali, perché non ci siano più giochi ritenuti “per bambini” o “per bambine”, lasciandoli liberi di scegliere secondo il loro gusto. Discutibile o meno, essendo un’intrusione così forte nella scelta di un esercizio commerciale è a rischio di incostituzionalità, qualora un ricorrente decidesse di rivolgersi ai tribunali.

Un altro provvedimento ha visto la luce in Illinois, stato governato dall’ex magnate alberghiero J. B. Pritzker, eletto per i dem: riguarda proprio uno dei principali campi di scontro scelti dai conservatori a livello locale, le biblioteche pubbliche. Da diverse ore infatti nessuna proibizione potrà più essere attuata dai singoli distretti scolastici. Se qualcuno si opponesse al provvedimento tentando di forzare la mano, la penalità prevista è il taglio dei fondi pubblici.

Anche il Colorado, da qualche anno laboratorio di politiche progressiste come la legalizzazione della marijuana a uso ricreativo, legge approvata nel lontano 2012, ha imposto agli edifici pubblici di avere almeno un bagno per piano che sia gender neutral, senza indicazione di sesso.

Questa breve panoramica però non deve far pensare che non ci siano stati provvedimenti che riguardino tagli delle tasse o variazioni del codice della strada (alcune modifiche in Illinois sono bizzarre, come quella che consente di appendere dei gadget allo specchietto retrovisore delle auto, cosa fino a poco tempo fa strettamente vietata): la cosa che accomuna però l’approvazione di certe leggi è la loro “notiziabilità”.

Consensi facili

Come già accennato, forse molte di queste non reggeranno la prova della costituzionalità di fronte a un tribunale federale, ma servono per raccogliere facile consenso nel campo conservatore o progressista.

Questo avviene quando c’è la cosiddetta trifecta, ovvero quando sia i governatori che le assemblee legislative appartengono allo stesso partito.
Il pragmatismo di cui si vantò in un dibattito presidenziale del 2012 il repubblicano Mitt Romney, ex governatore del Massachusetts, dove ha lavorato per quattro anni con una legislatura «all’87 per cento controllata dai democratici», non è totalmente scomparso, ma sopravvive dove c’è un governo diviso e quindi i partiti sono “costretti” a lavorare insieme.

Anche questo meccanismo però, sotto la spinta della trumpizzazione a livello locale, si sta incrinando. Il prodotto di questo stato di cose però non sono nuove leggi, ma un risultato familiare a chi segue le vicende del Congresso federale: una paralisi continua dei processi legislativi presi in ostaggio dai veti incrociati. Uno scenario per il quale non c’è una facile soluzione.

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