Dopo gli anni Quaranta si è fatto progressivamente più difficile immaginare un mondo in cui oltre cento milioni di uomini (e un numero molto inferiore di donne) hanno indossato l’uniforme e sono andati a combattere equipaggiati di armi la cui forza distruttiva era stata perfezionata nella Prima guerra mondiale e si era accresciuta negli anni successivi. Risulta altrettanto difficile immaginare che grandi stati abbiano persuaso le popolazioni a destinare fino a due terzi del prodotto nazionale a scopi bellici, che milioni di esseri umani dovessero accettare la miseria e la fame generate dalla guerra, o che le ricchezze e i risparmi del tempo di pace dovessero essere requisiti e spazzati via dalle insaziabili esigenze del conflitto. Risulta altrettanto difficile comprendere l’enorme portata di privazioni, spoliazioni e perdite subite durante bombardamenti, deportazioni, requisizioni e ladrocini.

La guerra sfida la nostra sensibilità soprattutto quando cerchiamo di comprendere come atti diffusi di terrorismo e criminalità siano stati commessi da migliaia di persone che, nella maggioranza dei casi, corrispondevano a quelli che lo storico Christopher Browning ha descritto come «uomini normali», né sadici né psicopatici. Per quanto le atrocità siano all’ordine del giorno nelle guerre civili e nelle insurrezioni, gli anni della Seconda guerra mondiale hanno conosciuto un’ondata abnorme di coercizione violenta, tortura, deportazione e genocidi di massa, compiuti da militari in uniforme, forze di sicurezza o di polizia, oppure partigiani e combattenti civili irregolari, di ambo i sessi.

Un tempo bastava spiegare quella guerra come la reazione armata di nazioni amanti della pace dinanzi alle ambizioni imperiali di Hitler e Mussolini in Europa e dell’esercito giapponese in Asia orientale. L’attenzione al risultato militare, però, tralascia troppi interrogativi sulla crisi più ampia che ha portato alla guerra, sulla diversa natura dei vari conflitti armati, sugli aspetti politici, sul contesto economico, sociale e culturale della guerra e sulla violenta instabilità che è durata a lungo dopo la fine formale delle ostilità nel 1945.

Soprattutto, la visione convenzionale della guerra considera Hitler, Mussolini e l’esercito giapponese le cause della crisi piuttosto che i suoi effetti. Non si può dare un senso ragionato alle origini, all’andamento e alle conseguenze della guerra se non si comprendono le più ampie forze storiche che hanno generato a livello internazionale anni di instabilità sociale e politica sin dai primi decenni del Ventesimo secolo, e che alla fine hanno spinto gli stati dell’Asse a intraprendere programmi reazionari di conquiste territoriali imperialiste. La sconfitta di tali ambizioni, a sua volta, ha aperto poi la strada a una relativa stabilizzazione globale e alla crisi degli imperi territoriali.

Una nuova storia

Una nuova storia della Seconda guerra mondiale si basa su quattro presupposti principali. In primo luogo, perde qualsiasi utilità la tradizionale cronologia del conflitto. Le ostilità sono infatti iniziate nei primi anni Trenta in Cina e si sono concluse nello stesso paese, nel Sud-est asiatico, in Europa orientale e medio oriente solo nel decennio successivo al 1945. Le azioni militari avvenute tra il 1939 e il 1945 possono pertanto rappresentare il nucleo della narrazione, ma la storia del conflitto risale almeno all’occupazione giapponese della Manciuria nel 1931 e si spinge fino alle ultime insurrezioni e guerre civili provocate dalla guerra mondiale ma ancora irrisolte nel 1945.

La Grande guerra, inoltre, e le violenze che l’avevano preceduta e seguita avevano profondamente influenzato il mondo degli anni Venti e Trenta, comprovando la tesi per cui non otterremo grandi risultati storiografici se vediamo come momenti distinti questi due giganteschi conflitti. Entrambi si possono considerare come le fasi di una seconda guerra dei Trent’anni destinata a riportare ordine nel sistema mondiale nel periodo conclusivo della crisi degli imperi. La mia ricerca rispecchia pertanto queste prospettive temporali meno convenzionali, con un focus sugli anni Venti e Trenta necessario per spiegare adeguatamente la natura della guerra globale e il modo in cui è stata combattuta e interpretata.

In secondo luogo, la guerra dovrebbe essere intesa come un fenomeno globale, anziché come un evento riducibile alla sconfitta degli stati europei dell’Asse, di cui la guerra nel Pacifico risulterebbe in tal modo una semplice appendice. Le regioni instabili dell’Europa centrale, del Mediterraneo, del medio oriente e dell’Asia orientale hanno tutte alimentato la più ampia crisi della stabilità globale, il che spiega perché la guerra ha coinvolto anche aree remote come le isole Aleutine nel Pacifico settentrionale, il Madagascar nell’Oceano Indiano meridionale o le basi insulari dei Caraibi. Per la nascita del mondo postbellico, il conflitto in Asia e le sue conseguenze sono state importanti quanto la sconfitta della Germania in Europa, forse perfino di più: la creazione della Cina moderna e il disfacimento degli imperi coloniali sono andati di pari passo.

In terzo luogo, occorre ridefinire il conflitto come una serie di guerre di tipo diverso. La forma principale rimane la ben nota guerra tra stati, di aggressione o di difesa, giacché solo un’entità statale è in grado di mobilitare risorse sufficienti e sostenere un conflitto armato su vasta scala. Vi sono stati tuttavia anche delle guerre civili, combattute parallelamente al grande scontro militare (in Cina, Ucraina, Italia, Grecia), e delle “guerre interne”, intese sia come guerre di liberazione contro una potenza occupante (inclusi gli Alleati) sia come guerre di autodifesa civica, principalmente per far fronte all’impatto dei bombardamenti. Anche se a volte queste diverse forme di conflitto si sono sovrapposte o sono confluite nella guerra dei grandi stati – i partigiani in Russia o i combattenti della Resistenza in Francia –, le guerre partigiane, le guerre civili e le insurrezioni rappresentano piccoli conflitti paralleli combattuti principalmente da civili per garantire la propria protezione o liberazione. Esse concorrono a conferire alla Seconda guerra mondiale il suo carattere “totale”.

L’importanza dell’impero

Tutti questi fattori – cronologia, area geografica e definizione – sono strettamente legati alla mia tesi per cui la lunga Seconda guerra mondiale è stata l’ultima guerra imperiale. La maggior parte delle storiografie generali si concentra sul conflitto tra “grandi potenze” e sul ruolo dell’ideologia, ma perde di vista o finisce per glissare sull’importanza dell’impero territoriale nel definire la vera natura del periodo di belligeranza che va dal 1931 al caotico dopoguerra del 1945.

Questo non significa vedere la guerra attraverso una ristretta lente leninista, bensì riconoscere che ciò che lega insieme tutte le diverse aree geografiche e forme del conflitto è l’esistenza di un ordine imperiale globale, dominato principalmente dagli inglesi e dai francesi, che ha plasmato e stimolato le fantasiose ambizioni di Giappone, Italia e Germania – le cosiddette nazioni deprivate –, desiderose di assicurarsi la sopravvivenza nazionale ed esprimere la loro identità di nazione conquistando ulteriori zone di dominio imperiale.

Solo di recente gli storici hanno iniziato a sostenere che gli imperi dell’Asse hanno creato il loro “nesso” globale per imitare i vecchi imperi che intendevano soppiantare. Dalla Grande guerra in poi, o perfino da prima, progetti e crisi imperiali hanno determinato l’origine e l’andamento del secondo conflitto, così come l’esito conclusivo della guerra ha posto fine a mezzo millennio di colonialismo e favorito il consolidamento dello stato-nazione. I secoli della spietata espansione europea hanno lasciato il posto a una contrazione dell’Europa. Ciò che restava del tradizionale dominio coloniale è crollato rapidamente nei decenni successivi al 1945, quando le due superpotenze, Stati Uniti e Unione sovietica, sono giunte a dominare la creazione di un nuovo ordine globale.


Il testo in questa pagina è un estratto del nuovo libro di Richard Overy, Sangue e rovine. La Grande guerra imperiale.1931-1945, appena pubblicato per Einaudi e tradotto da Luigi Giacone.

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