È altissima la tensione tra Cina e Stati Uniti per il possibile arrivo a Taiwan di Nancy Pelosi (secondo indiscrezioni Usa, previsto per il mese prossimo). Il viaggio della speaker della Camera dei rappresentanti non è stato confermato ufficialmente da Washington, ma entrambe le parti sono impegnate in uno sfoggio di muscoli che evidenzia il rischio di uno scontro militare nel Pacifico occidentale, che potrebbe essere innescato da un incidente o dal fraintendimento delle intenzioni dell’avversario (come rivelato da Bob Woodward nel suo “Peril”, già sfiorato alla fine del 2020, quando – durante il tumultuoso crepuscolo dell’amministrazione Trump – a Pechino si erano convinti che The Donald stesse per lanciare una October surprise, un attacco nel Mar cinese meridionale). Questa volta l’aereo di Pelosi sarà scortato da velivoli militari Usa, che potrebbero incrociare quelli cinesi, che potrebbero “accompagnarlo” fino ai cieli di Taiwan.

La portaerei statunitense “Ronald Reagan” e il suo gruppo di combattimento si sono mossi da Singapore lunedì 24 luglio, diretti verso il mar Cinese meridionale, con probabile destinazione Taiwan. Fonti del ministero della Difesa Usa hanno spiegato alla Associated press che se Pelosi sbarcherà a Taipei, le forze armate statunitensi aumenteranno lo spostamento di uomini e mezzi nell’area. Lunedì 24 luglio, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha ricordato che Pechino ha espresso ripetutamente la sua «posizione solenne» ed è pronta a «prendere misure decise e forti per difendere la sovranità nazionale e l’integrità territoriale».

Joe Biden ha rivelato ai giornalisti che il dipartimento della Difesa giudica la visita «non una buona idea». Ma il presidente, il dipartimento di stato e il Pentagono riusciranno a convincere Pelosi a tornare sui suoi passi, con un confronto (Pelosi è molto impegnata nella difesa dei diritti umani ed è un’amica di Taiwan) che potrebbe sfociare in un conflitto istituzionale, e alla vigilia delle elezioni di medio termine, con i repubblicani pronti ad accusare i democratici di arrendevolezza alle ragioni di Pechino?

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A Washington comunque ritengono “non ipotizzabile” una rappresaglia militare cinese contro Taiwan. Alla vigilia del XX congresso del partito comunista al quale chiederà un inedito terzo mandato a guidare il paese, Xi Jinping non ha alcun interesse a ficcarsi in quella che sarebbe la IV crisi dello Stretto. Da Pechino negli ultimi giorni sono filtrate indiscrezioni sulle risposte che la leadership cinese starebbe approntando: sanzioni contro Pelosi, sospensione ufficiale della cooperazione Cina-Usa sui cambiamenti climatici, intensificazione dei sorvoli dei caccia dell’esercito popolare di liberazione nelle zone d’identificazione di difesa aerea taiwanesi.

Il rischio più grave (dopo quello di un incidente che inneschi uno scontro militare) è che la comunicazione tra Pechino e Washington – già ai minimi termini – possa interrompersi. Al contrario, è necessario che, su Taiwan in particolare, la Cina e gli Stati Uniti riprendano a dialogare, per chiarirsi i rispettivi obiettivi. La Cina di Xi Jinping dovrebbe spiegare agli Usa se davvero non ha alcuna intenzione di riprendersi l’isola con la forza (Xi ha sempre parlato di “riunificazione” pacifica) e gli Stati Uniti dovrebbero rassicurare Pechino che la loro politica – finora ancorata alla “ambiguità strategica” (armare Taiwan per permetterle di difendersi, senza schierarsi apertamente con Taipei) e al principio “una sola Cina” (gli Usa “prendono atto” che per Pechino esiste una sola Cina della quale Taiwan è parte integrante) – non è mutata. In mancanza di tale chiarimento, l’Isola rimarrà una bomba a orologeria e lo scontro nello Stretto tra Cina e Stati Uniti sarà soltanto rimandato.

Dopo il XX congresso, una Cina più assertiva

Una potenza “benevolente” ma, allo stesso tempo, decisa nel difendere quelli che considera diritti irrinunciabili, a partire dalla “riunificazione” pacifica di Taiwan e dalla sovranità sull’80 per cento del mar Cinese meridionale. Così Wang Yi ha riassunto la nuova diplomazia di Pechino che – ha spiegato il ministro degli Esteri – è stata aggiornata in seguito agli sconvolgimenti provocati nel quadro internazionale dalla pandemia di SARS-CoV-2 e dai conflitti geopolitici. Secondo Wang, «che si tratti dell’epidemia globale o dell’escalation dei conflitti geopolitici, è chiaro al mondo che la teoria tradizionale delle relazioni internazionali non è più adatta al perseguimento comune dello sviluppo e del progresso delle persone di tutti i paesi».

  • Perché è importante

Wang è intervenuto domenica 24 luglio durante un simposio sul “pensiero di Xi Jinping sulla diplomazia” (uno dei tanti eventi dedicati a elevare la statura politico-teoretica del leader alla vigilia del XX congresso), riassumendo le linee guida indicate negli ultimi anni dal presidente cinese, alla vigilia dell’assise quinquennale del prossimo autunno che potrebbe indicare una linea più intransigente nei confronti degli Stati Uniti. Wang ha infatti aggiunto che la Cina «ha il coraggio per combattere una grande battaglia» e che «lotteremo fino alla fine contro tutte le forze che stanno provando a sovvertire il nostro sistema socialista guidato dal partito comunista e a fermare il grandioso risveglio della nazione cinese».

  • Il contesto

Wang ha aggiunto che il modello di relazioni internazionali proposto dalla Cina di Xi Jinping trascende i limiti storici dei valori universali dell’occidente. La Cina dunque –forte della sua leadership politica indiscussa, delle debolezze dell’occidente, e di un esercito che si sta rinnovando profondamente – porterà avanti con sempre maggiore determinazione le sue rivendicazioni.

Come quelle sul mar Cinese meridionale rispetto al quale, lunedì 25 luglio, lo stesso Wang ha accusato «alcune forze esterne di espandere deliberatamente i conflitti e provocare tensioni, mettendo a repentaglio i diritti legittimi e gli interessi dei paesi costieri e dell’ordine marittimo». Alla libertà di navigazione difesa dagli Usa Wang ha contrapposto la Dichiarazione sulla condotta delle parti nel mar Cinese meridionale accettata (Doc) dalla Cina e dai dieci paesi dell’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean), che rappresenterebbe i valori e «la cultura asiatica».

La Cina e l’Asean hanno discusso un codice di condotta legalmente vincolante per attuare i principi del Doc. Hanno redatto un testo negoziale nel 2018 e terminato un primo riesame nel 2019. Tuttavia da allora le trattative hanno fatto pochi progressi, mancando il termine di finalizzazione inizialmente proposto della fine del 2021.

Dichiarati estinti gli ultimi due pesci giganti del Fiume azzurro

Il pesce spada cinese e lo storione dello Yangtze, gli ultimi due pesci giganti del Fiume azzurro (Yangtze) sono stati dichiarati estinti. L’ufficialità è arrivata con l’aggiornamento, giovedì 21 luglio, della lista rossa delle specie in pericolo della International Union for Conservation of Nature (Iucn).

Il pesce spada cinese (Psephurus gladius) era già stato dato per estinto nel 2020, mentre lo storione dello Yangtze (Acipenser dabryanus) è appena passato dalla lista delle specie in grave pericolo a quelle estinte allo stato brado. «L’incapacità del mondo di salvaguardare le specie di storione è un atto d’accusa contro i governi di tutto il mondo, che non riescono a gestire in modo sostenibile i loro fiumi e non sono all’altezza dei loro impegni per conservare questi pesci iconici», ha affermato Arne Ludwig, presidente del gruppo di specialisti dello storione della Iucn.

  • Perché è importante

L’estinzione di questi due pesci riduce la biodiversità e deteriora gli habitat del Fiume azzurro, il più lungo della Cina (terzo del mondo) dove anche gli altri storioni e pesce spada, tradizionalmente abbondanti nelle sue acque, sono in pericolo. Il pesce spada cinese poteva raggiungere fino a 7 metri di lunghezza e viveva nel bacino dello Yangtze da 200 milioni di anni, fino al 2003, quando è stato avvistato l’ultimo esemplare. A rendere sempre più difficile la sopravvivenza di questi pesci giganti sono soprattutto lo sfruttamento eccessivo della pesca e le dighe costruite lungo i 6.300 chilometri del corso d’acqua.

  • Il contesto

Secondo gli autori del rapporto tutte e 26 le rimanenti specie di storione presenti sul pianeta sono a rischio di estinzione. E il prossimo a sparire potrebbe essere proprio lo storione cinese (Acipenser sinensis), a meno che non vengano messi in atto urgentemente sforzi rivoluzionari per salvarlo. Dighe come quella delle Tre gole e di Gezhouba (entrambe a Yichang, nella provincia dello Hubei) hanno avuto un effetto devastante per i pesci in pericolo d’estinzione, avendo tagliato fuori quasi tutti i siti di riproduzione degli storioni e modificato le fluttuazioni stagionali delle temperature dell’acqua a valle.

Nel 2020, la Cina ha introdotto la legge sulla protezione del fiume Yangtze, mentre gli ambientalisti hanno chiesto una migliore governance per ripristinare la connettività fluviale e proteggere gli habitat degli storioni nei fiumi chiave.

Consigli di lettura della settimana:

Per questa settimana è tutto. Per osservazioni, critiche e suggerimenti potete scrivermi a: exdir@cscc.it

Weilai vi augura felici e serene vacanze e vi dà appuntamento a settembre.

Michelangelo Cocco @classcharacters

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