Testacoda cinese, dal figlio unico al bonus bebè

Un sussidio annuale di 3.600 yuan (429 euro) per ogni neonato, fino al raggiungimento dei tre anni di età. Quella appena varata da Pechino per provare ad arginare il crollo delle nascite è una misura storica, eppure è stata accolta con scetticismo da demografi, economisti e media. Il fatto è che la crisi demografica ha raggiunto dimensioni tali e ha cause così profonde che l’inedito sostegno governativo, avulso da riforme più complessive, è apparso come poco più che una mancia, non in grado di alleviare il peso che le famiglie sostengono per allevare i figli in una società sempre più competitiva. L’anno scorso il numero di cinesi è diminuito per il terzo anno consecutivo (1,39 milioni in meno) e il paese, che nel frattempo ha perso a favore dell’India (1,451 miliardi di abitanti) il gradino più alto del podio, ha registrato soltanto 9,54 milioni di neonati, la metà rispetto al 2016, quando fu abolita la politica del figlio unico applicata a partire dal 1979 per accompagnare lo sviluppo economico post-maoista. Così Cina ed Europa ridisegnano la geografia della transizione green Nel 2021 i pargoli consentiti senza pagare pegno (in passato, multe fino all’equivalente di 14 mila euro) sono stati portati a tre. Nel 2024, le nascite sono aumentate (dai 9,02 milioni di neonati registrati nel 2023), ma il primo incremento dal 2017 è frutto in parte della superstizione: un “bebè dragone”, partorito nell’omonimo anno, secondo lo zodiaco cinese è molto fortunato. L’allarme Mentre le province continuano a portare avanti i loro piani per promuovere la natalità, e il partito (100 milioni di iscritti) è arrivato a sostenere che i suoi membri “non hanno scuse per avere solo uno o due figli”, l’iniziativa è stata infine presa dal governo centrale: per il primo sussidio nazionale per l’infanzia sono stati stanziati 90 miliardi di yuan (12,54 miliardi di dollari), di cui potranno beneficiare 20 milioni di famiglie nel 2025. È il segnale che a Pechino è suonato forte l’allarme per un fenomeno – il combinato disposto di denatalità e invecchiamento accelerato (i cinesi hanno ormai in media 40,1 anni) – che sta ponendo sfide senza precedenti sia alle aziende di quella che aspira a diventare una superpotenza della manifattura avanzata, nelle quali non si punta sempre di più sui robot (di cui la Cina è il primo mercato al mondo), sia alle casse dello stato, con l’aumento della spesa per pensioni e assistenza sanitaria. C’è un motivo principale per cui i cinesi – pragmatici e risparmiatori – non fanno più figli: il costo per allevarli, nell’ambito di un’economia di mercato in cui i prezzi di alcuni servizi sono elevati, soprattutto nelle metropoli classificate come di “primo livello”. Secondo uno studio del pechinese YuWa Population Research Institute, ci vogliono in media 538mila yuan (poco più di 64mila euro) per crescere un bambino fino ai 18 anni. Ma a Shanghai e Pechino l’esborso raddoppia. In un contesto in cui il denaro, ormai da diversi anni, non scorre più a fiumi, la crescita rallenta, e i neolaureati hanno difficoltà a trovare un lavoro qualificato. «Con la pianificazione delle nascite siamo tutti responsabili», proclamavano i poster della propaganda che ritraevano la tipica famiglia di tre componenti: madre, padre e figlio unico. Quella politica è durata troppo a lungo e ha contribuito agli squilibri attuali. «Fermate il dott. DeepSeek», l’Ia si prende la sanità cinese Più uguaglianza Il commento dei media stranieri al sussidio pro natalità è stato: troppo tardi, troppo poco. Del resto i demografi ritengono che invertire il trend sia pressoché impossibile, e che presto la Cina diventerà come il Giappone, una società “super-anziana” dove il 30 per cento della popolazione ha più di 65 anni. Dall’interno però le cose vengono analizzate diversamente. In un editoriale South China Morning Post ha sostenuto che quella appena varata non sarebbe che la prima di una serie di misure che il governo metterà in campo, partendo dal presupposto che se anche l’invecchiamento è al momento inarrestabile, la politica può ridare fiducia alle nuove generazioni. Secondo il quotidiano del gruppo Alibaba, «un problema correlato è la necessità per la Cina di incrementare i consumi interni. Uno dei motivi per cui i consumatori cinesi non spendono di più, nemmeno per avere più figli, è lo stato del sistema di previdenza sociale. Molte famiglie devono ancora risparmiare il proprio reddito disponibile per l’assistenza agli anziani, all’infanzia e alle spese mediche» solo parzialmente coperte dallo stato, all’interno di sistemi di welfare estremamente frammentati a seconda della residenza. Il rimpatrio degli scienziati: il nuovo esercito della Cina C’è grande attesa per le novità che riserverà a riguardo il XV piano quinquennale (2026-2030), che sarà discusso dal IV plenum del XX comitato centrale del partito comunista a ottobre e che dovrebbe fornire indicazioni su come come crescere “meglio”, promuovendo una maggiore redistribuzione in favore di quella maggioranza di cinesi che non è ancora classe media, e non solo su come crescere “di più”, ovvero invertire il paradigma degli ultimi 40 anni. Per fare più figli è necessaria prima di tutto più uguaglianza.