Le trattative per un cessate il fuoco a Gaza sono entrate nel vivo nelle ultime ore. La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha affermato che la proposta presentata dall’amministrazione Trump ad Hamas è stata «sostenuta e appoggiata» dallo Stato ebraico. «Israele ha approvato questa proposta prima che venisse inviata ad Hamas», ha detto ai giornalisti. «Posso anche confermare che le discussioni stanno continuando e speriamo che venga instaurato un cessate il fuoco a Gaza, così da poter riportare a casa tutti gli ostaggi». La portavoce ha anche specificato di non sapere se Hamas abbia accettato tutti i termini dell’accordo. «Se così dovesse essere e il cessate il fuoco entrasse in vigore, lo sentirete da me, dal presidente o dall’inviato speciale Witkoff», ha aggiunto.

Le dichiarazioni della Casa Bianca sono giunte in tarda serata di ieri dopo che l’emittente Al Arabiya aveva dato per concluse le mediazioni e con esito positivo. La notizia, però, è stata subito smentita sia da funzionari israeliani che di Hamas.

L’ottimismo per un’intesa si è diffuso nel primo pomeriggio di ieri, quando i media israeliani hanno riferito che il premier Benjamin Netanyahu aveva accettato l’ultima proposta formulata dall’inviato di Trump, Steve Witkoff. Sempre secondo i media, Netanyahu lo ha comunicato per primo ai famigliari degli ostaggi nel corso di un incontro avuto ieri, ma aveva anche specificato che era in attesa del responso di Hamas.

«Non ha ancora risposto. Non crediamo che Hamas rilascerà gli ostaggi, quindi continueremo a combattere finché Hamas non sarà eliminato, e non lasceremo la Striscia finché tutti gli ostaggi non saranno nelle nostre mani», ha detto ai famigliari che da mesi criticano le decisioni del gabinetto di guerra e chiedono le sue dimissioni.

L’organizzazione palestinese ha invece fatto sapere di aver ricevuto la proposta e che l’avrebbe studiata «con senso di responsabilità» per fornire una risposta in linea «con gli interessi del nostro popolo» e con «la messa in sicurezza di un cessate il fuoco permanente a Gaza». Hamas vuole garanzie da parte di Washington che una volta consegnati gli ostaggi l’esercito israeliano si ritiri dalla Striscia e concluda le sue operazioni militari. Questo è il nodo cruciale delle trattative. Per il momento, le parti dovrebbero negoziare una pace duratura nei due mesi di tregua. Ma se non si raggiunge un accordo entro i termini stabiliti, il rischio è che il conflitto riprenda.

Cosa prevede la bozza

I negoziati per un cessate il fuoco permanente inizieranno il primo giorno dall’entrata in vigore della tregua, mentre Hamas fornirà informazioni complete su tutti gli ostaggi rimasti il decimo giorno.

Secondo i media israeliani la proposta di Witkoff prevede il rilascio di dieci ostaggi ancora vivi nelle mani di Hamas e la consegna dei corpi di altri 18 prigionieri morti durante i 19 mesi di guerra. Israele, invece, dovrà consegnare i corpi di 180 palestinesi, scarcerare 125 condannati all’ergastolo e liberare 1.111 gazawi arrestati dopo il 7 ottobre. Gli scambi avverranno in 60 giorni e in due distinte fasi nel giro di una settimana.

Altro punto fondamentale dell’accordo è quello sulla distribuzione degli aiuti umanitari. La proposta di tregua, infatti, boccia in toto il piano del governo israeliano entrato in vigore in settimana. Questo ha privatizzato e militarizzato la consegna dei viveri attraverso l’utilizzo della Gaza humanitarian foundation e di due società di contractors privati che hanno il compito di garantire la sicurezza durante le consegne.

Il tutto tornerà a essere gestito dalle Nazioni unite e dalle ong attive ancora a Gaza, che avevano sollevato pesanti criticità nei confronti del nuovo piano israeliano. Finora, infatti, è stato un fallimento e ha contribuito alla disumanizzazione della popolazione civile di Gaza, ammassata in disperata ricerca di cibo dopo ottanta giorni di assedio totale nel quale Israele ha imposto un blocco totale degli aiuti. Anche ieri, in uno dei nuovi centri di distribuzione, quello inaugurato nel corridoio di Netzarim, migliaia di gazawi sono rimasti bloccati mentre l’esercito israeliano conduceva operazioni militari nell’area circostante.

Nel primo giorno di tregua, inoltre, le truppe dello stato ebraico dovranno ritirarsi dai territori occupati dopo la ripresa delle ostilità da parte dello stato ebraico lo scorso 17 marzo. L’Idf secondo i termini della bozza dovrà rinunciare al Corridoio di Morag, che separa Rafah da Khan Younis e ritirarsi dal nord della Striscia e a est di Gaza city.

Altri raid

In attesa di ufficializzare la tregua, l’aviazione israeliana ha continuato a colpire la Striscia. Almeno 64 persone si sono aggiunte al bilancio delle oltre 54mila vittime. Decine di bambini sono stati trasportati d’urgenza nelle poche strutture cliniche rimaste ancora attive. Ma ce ne sono sempre meno.

Le truppe dell’Idf hanno infatti evacuato con la forza i medici e i pazienti dell’ospedale Al Awda nel nord della Striscia di Gaza. In Cisgiordania, invece, il governo israeliano ha annunciato la creazione di 22 nuovi insediamenti. Il portavoce del segretario generale dell’Onu, Stéphane Dujarric, li ha definiti «illegali e un ostacolo alla pace». Nello stesso giorno è arrivata l’ennesima provocazione religiosa. A Tulkarem, nel campo profughi di Nur Shams, le truppe militari hanno issato una bandiera d’Israele sulla parte alta della moschea di Abu Bakr al Siddiq.

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