Forse la tregua firmata un paio di settimane fa potrà calmare una crisi endemica che dura da trent’anni. Tuttavia le cicatrici resteranno a lungo, aggiungendosi a quelle delle guerre precedenti. I due Kivu – nord e sud – e l’Ituri, le tre regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo (Rdc, una volta chiamato Zaire), sono il teatro di tre decenni di sanguinosi scontri il cui detonatore esogeno è stato il genocidio in Ruanda del 1994 ma che dipendono da ragioni soprattutto interne. La più grave è la permanente manipolazione della cittadinanza e delle identità operata dai regimi che hanno gestito l’immenso paese fin dall’indipendenza, soprattutto durante il lungo “regno” di Mobutu Sese Seko (1965-1997). L’oriente del Congo è un mosaico di popolazioni distribuite a macchia di leopardo, i cui simili si ritrovano dall’altra parte delle frontiere internazionali, in Ruanda, Burundi, Sudan o Uganda. A causa di necessità opportuniste della politica e da calcoli di potere – utilizzati da Mobutu e da altri dopo di lui – ad alcune di queste popolazioni è stata tolta la cittadinanza con l’accusa e lo stigma di essere straniere.

Per lunghi anni è prevalso un clima di incertezza giuridico-politica sul destino di alcune etnie, creando risentimenti e rancori. Si possono facilmente immaginare gli effetti di tale nefasta politica: crescita del razzismo etnico e infiniti contenziosi sui beni e sulla proprietà della terra. La storia delle crisi nel Congo orientale dipende da tali strumentalizzazioni a cui si sono aggiunti molti interessi economici.

Gli ultimi scontri

Le ultime elezioni del dicembre 2023 si sono svolte nel quadro degli scontri nel Kivu nord tra la milizia anti-governativa, l’M23 – una vecchia conoscenza composta da tutsi – sostenuta da Kigali, e le forze armate congolesi. Va detto che nell’area delle tre provincie orientali sono presenti numerosissime altre milizie (ufficialmente un centinaio ma se ne contano fino a 200) che costituiscono i resti delle guerre precedenti. Alcune sono state create come autodifesa da vari gruppi etnici; altre rappresentano le rimanenze di movimenti armati anteriori (sorti ad esempio durante il genocidio ruandese); altre ancora sono le conseguenze di crisi di altri stati (come l’alleanza delle forze democratiche Adf ugandesi); altre infine assomigliano piuttosto a bande criminali legate ai traffici.

In Congo orientale il mestiere delle armi è divenuto pratica corrente e tutta la regione è il ricettacolo di chiunque sia in cerca di armi o voglia formare un gruppo armato per i propri interessi. È in tale oscuro contesto, in cui da lungo tempo la violenza non è più monopolio dello stato, che venne ucciso il nostro ambasciatore Luca Attanasio, assieme al carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo.

Le vittime

Sulle vittime del sistema di guerre che ha investito il Congo e specialmente la sua parte orientale, si calcola che raggiungano la terrificante cifra di circa sei milioni dal 1996. Dopo il genocidio ruandese (1994, con un milione e mezzo di morti) che ha provocato un fiume di profughi verso la Rdc, la prima guerra del Congo (1996-1997) iniziò per fare cadere il regime di Mobutu contro il quale si coalizzarono varie forze dell’intera regione, tra cui il Ruanda del Fronte Patriottico Ruandese (Rpf) il partito di Paul Kagame presidente del Ruanda.

Kigali giustificò il suo intervento con la necessità di inseguire i “genocidari” nazionalisti hutu che si erano rifugiati in Congo con le armi, rappresentando un reale pericolo. Anche Uganda, Angola e Burundi appoggiarono quell’intervento, sostenendo attivamente l’invasione dello Zaire fino alla capitale Kinshasa. Al potere fu posto un vecchio oppositore di Mobutu, Laurent Kabila, che tuttavia quasi da subito mal sopportò la presenza – e la continua intromissione – dei suoi alleati stranieri, rompendo con loro già nel 1998.

Iniziava così la seconda guerra del Congo, molto peggiore della prima. Il conflitto divenne africano (viene chiamata anche grande guerra d’Africa) con il coinvolgimento attivo dell'Angola (che cambiò fronte), della Namibia e dello Zimbabwe dalla parte della Rdc, mentre con i ruandesi combatterono ugandesi e burundesi. Nelle provincie orientali ciascuno dei due fronti cercava il sostegno dei gruppi armati già esistenti o ne creava di nuovi, aumentando il caos.

Nel 2001 Laurent Kabila venne assassinato in un tentativo di colpo di stato filo-ruandese che tuttavia fallì. Il potere a Kinshasa fu assunto dal figlio Joseph Kabila che riuscì a concludere la guerra nel 2002 con un accordo, visto che nessuno dei due fronti era riuscito a prevalere. Il bilancio delle vittime della seconda guerra del Congo – dirette e indirette – supera i tre milioni.

Negoziati tra il 2002 e il 2003, gli accordi di pace tra Ruanda e Uganda da una parte, e Rdc dall’altra, non riuscirono tuttavia a far cessare del tutto le violenze nel Congo orientale che ormai avevano assunto un carattere autonomo e endemico. Tra le milizie che videro la luce in quella fase, si distinse il movimento 23 marzo (M23) che troviamo attivo ancora oggi nella regione.

La missione Onu

Per fermare la violenza nel 2013 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha autorizzato la missione di stabilizzazione Monusco con regole d’ingaggio offensive (cosa rara per l’Onu) a supporto dell'esercito congolese. Le relazioni tra la Monusco e i congolesi non sono tuttavia mai state positive, con reciproche accuse di poca volontà di combattimento o di corruzione.

Invece di migliorare, la crisi a est si è invelenita con continui cambi di fronte e l’ingerenza dei paesi limitrofi per ragioni economiche. L’interesse materiale per i due Kivu è costituito dalla presenza di terre rare: in questi decenni c’è stata un’enorme proliferazione di attività estrattive (legali, irregolari o criminali) in cui tutti hanno cercato di guadagnarci. L’interesse a proseguire nello sfruttamento è molto forte: l’Uganda e il Ruanda ne hanno approfittato divenendo addirittura esportatori di minerali che non esistono sul loro territorio.

Il cessate il fuoco

Dopo Joseph Kabila le elezioni del dicembre 2018 sono state vinte da Félix Tshisekedi: si è trattato del primo trasferimento pacifico di potere dall’indipendenza. Nel 2022 la guerra riprese: i ribelli M23 riemergevano dopo cinque anni di inattività (probabilmente riattivati dall’estero), riuscendo a prendere il controllo gran parte della provincia del Nord Kivu entro luglio 2023.

Kinshasa, sostenuta da numerosi governi stranieri, accusa Kigali di aver finanziato e armato la rinascita di M23. Il Ruanda ricambia biasimando l’ininterrotto sostegno di Kinshasa alle milizie estremiste hutu. Nonostante le promesse di un cessate il fuoco mediato dagli Usa, il conflitto in corso nel Congo orientale prosegue a singhiozzo fino all’agosto 2024, quando ci si accorda sull’ennesima tregua. Resta da vedere ora se tale accordo reggerà. Ad oggi oltre sette milioni di congolesi sono sfollati interni a causa delle atrocità commesse da entrambe le parti, nonché dell'estrema povertà che il conflitto ha provocato: oltre 23 milioni di congolesi soffrono di insicurezza alimentare.
 

© Riproduzione riservata