Sabato sera il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato la nomina di Amy Coney Barrett alla Corte suprema per occupare il posto di Ruth Bader Ginsburg, l’icona femminista morta il 18 settembre all’età di 87 anni. Nella cerimonia di presentazione nel Rose Garden, il presidente ha descritto Barrett come «una donna dai successi fuori dal comune, con una grande intelligenza, credenziali impeccabili e lealtà inflessibile alla Costituzione». Prenderà le decisioni, ha detto Trump, «basandosi sul testo della Costituzione così com’è stata scritta», un riferimento alla filosofia originalista o testualista predicata da molti giudici conservatori e in particolare, in tempi recenti, da Antonin Scalia, giudice morto nel 2016. Per gli originalisti il dettato costituzionale va interpretato secondo il senso letterale in cui è stato scritto, e i giudici non dovrebbero considerare la Costituzione come un testo vivo ed esposto ai cambiamenti del tempo.

Barrett, che in passato è stata clerk di Scalia, ha dichiarato il debito nei suoi confronti: «La sua filosofia giuridica è anche la mia: i giudici devono applicare la legge così com’è scritta. Non sono policymakers, e devono essere risoluti nel mettere da parte qualunque visione politica possano avere». Trump ha usato la circostanza per sottolineare non solo le qualità professionali di Barrett, ma anche quelle personali e biografiche, che dovrebbero renderla più difficile da attaccare per gli avversari in quello che sarà un burrascoso processo di conferma. La giudice ha 48 anni e perciò, se sarà votata dalla maggioranza del Senato, diventerà il più giovane giudice della Corte suprema e avrà davanti a sé un mandato potenzialmente lunghissimo (i giudici decidono autonomamente quando ritirarsi, e la loro carica è a vita). Cattolica di impronta conservatrice e membro di un gruppo ecumenico chiamato People of Praise, è madre di sette figli, con i quali si è presentata alla cerimonia alla Casa Bianca. Due dei figli sono stati adottati e sono originari di Haiti, mentre l’ultimo figlio biologico ha la sindrome di Down.

Trump non ha mancato di sottolineare che sarebbe la prima madre con figli in età scolare ad arrivare alla Corte suprema.

La terza nomina

Barrett è attualmente giudice della Corte d’appello federale. È stata confermata in quel ruolo dal Senato nel 2017, dopo un percorso tesissimo di interrogazioni al Congresso nel quale si è discusso soprattutto delle sue convinzioni religiose e dell’impatto che avrebbero potuto avere sulle decisioni nel ruolo di giudice. Lei, come tutti quelli che si trovano in quella posizione, si è limitata a ripetere che il suo credo non ha nulla a che vedere con l’interpretazione della legge. Di quelle udienze è rimasta memorabile la frase, complicata da tradurre ma chiarissima nella sostanza, che le ha rivolto la senatrice Dianne Feinstein: «The dogma lives loudly in you».

Si tratta della terza nomina di Trump alla Corte suprema, dopo quella di Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh. Tutte le nomine sono state contestate – per ragioni e in circostanze diverse - e hanno aperto scontri politici laceranti, ma nei primi due casi il presidente ha scelto due giudici conservatori per rimpiazzare due toghe della stessa fazione, cosa che lasicato inalterati gli equilibri della massima corte, guidata con un voto di maggioranza dai conservatori. La cattolica e conservatrice Barrett, invece, si trova a rimpiazzare la più importante giudice liberal degli ultimi decenni, un simbolo vivente delle battaglie per l’emancipazione femminile e la libertà di scelta, e per di più il suo nome è stato annunciato a 38 giorni dalle elezioni presidenziali.

Giuristi e commentatori critici verso Barrett da tempo studiano il suo record giudiziario alla ricerca di precedenti scivolosi e decisioni controverse per sostenere che non sarà una giudice imparziale ma un’attivista della destra religiosa in toga. Le questioni infiammate riguardano l’aborto e i diritti individuali. Il timore è che una Corte suprema dominata dai conservatori possa portare alla revoca, totale o parziale, della Roe v. Wade, la sentenza del 1973 che ha reso legale l’aborto su tutto il territorio nazionale. Trump nel 2016 ha detto che durante la sua presidenza sarebbe stata cancellata.

Barrett nei suoi pronunciamenti ha lasciato intendere che la struttura giuridica di quella sentenza è a suo dire imperfetta (cosa che peraltro pensava anche Ginsburg, ma per ragioni diverse) e dunque non è da considerare un “superprecedente”, secondo il gergo dei costituzionalisti americani. Ma da questa valutazione al rovesciamento di una sentenza storica il passo è lungo: «L’elemento fondamentale, cioè che la donna possa scegliere l’aborto, probabilmente rimarrà. La questione controversa, oggi, riguarda i finanziamenti», ha scritto Barrett nel 2013.

Noah Feldman, costituzionalista di Harvard e uno dei più brillanti giuristi della sua generazione (che è la stessa di Barrett), ha scritto a sostegno della sua candidatura, nonostante Barrett sia di convinzioni e cultura opposti alle sue: «Quando sarà confermata al Senato, lo accetterò come conseguenza delle regole costituzionali che abbiamo e delle scelte collettive e individuali che abbiamo preso. E sono fiducioso che Barrett sarà una buona giudice, forse anche una grande giudice, anche se sono in disaccordo con lei su tutto». Ora la battaglia per la conferma si sposta in Senato, dove i repubblicani hanno i numeri per approvare la nomina, almeno sulla carta.

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