Si pensava che la visita ufficiale di Cyril Ramaphosa a Washington di mercoledì 21 maggio, potesse in qualche modo rasserenare rapporti molto problematici tra Sudafrica e Stati Uniti. In realtà, l’incredibile approccio all’incontro di Trump, ha fatto precipitare le relazioni in un baratro da cui sarà difficile uscire. Neanche il tempo di scambiarsi i saluti, che già il tycoon agitava davanti al presidente e alla delegazione sudafricani una serie di immagini di quelle che, a suo dire, sono prove inconfutabili della persecuzione razziale nei confronti dei bianchi sudafricani.

Tra lo sconcerto degli astanti di nazionalità sudafricana, poi, il presidente Usa, ha prima mostrato un video, poi addirittura calcato la mano urlando «Morte, morte, morte», e infine accusato il governo di Pretoria di aver confiscato le terre agli agricoltori bianchi, fermando sul nascere ogni tentativo di Ramaphosa di fornire spiegazioni.

L’incontro, una dimostrazione plateale di quanto Trump sia convinto che il mondo sia ormai globalmente schierato contro i bianchi e che i neri e le minoranze stiano ricevendo un trattamento preferenziale, si è quindi concluso con Ramaphosa che cercava di riportare la discussione sui «vantaggi commerciali di una partnership Usa-Sudafrica» e Trump che, visibilmente infastidito, consegnava nelle mani dell’omologo africano gli articoli che dimostrerebbero le violenze contro gli agricoltori bianchi.

L’episodio, un doppione di quello con Volodymyr Zelensky in cui il presidente ucraino fu maltrattato a favor di telecamere, arriva all’apice di tensioni scatenate da una teoria di persecuzione dei bianchi che secondo Trump sarebbe in atto da tempo nel paese africano che, di recente, lo ha portato a prendere misure estreme.

Nel mondo capovolto di Donald Trump, i richiedenti asilo in fuga da dittature o da situazioni di immiserimento estremo sono da fermare, rigettare e deportare verso i paesi di provenienza o, è una delle ultime idee partorite dall’amministrazione, in Ruanda. Gli afrikaner sudafricani, invece, discendenti di quelle generazioni di bianchi con background europeo che in grandissima parte si resero protagoniste del sistema di apartheid durato in Sudafrica fino al 1991, sono stati accolti lo scorso 11 maggio come rifugiati.

«A causa del genocidio che sta avvenendo nel loro paese – ha dichiarato lo stesso presidente in occasione dell’arrivo di 59 afrikaner – sono i benvenuti negli Stati Uniti d’America». L’episodio ha ovviamente innescato la dura reazione del Sudafrica. «Siamo l'unico Paese del continente in cui i colonizzatori sono venuti a vivere e non li abbiamo mai cacciati», ha dichiarato il presidente Cyril Ramaphosa, che ha anche accusato i 59 richiedenti asilo di «codardia».

Effetto Musk

La teoria della persecuzione dei bianchi in Sudafrica non è nuova tra le convinzioni di Donald Trump. Come riporta il New York Times, il presidente statunitense la fece emergere già nel maggio 2019. Nel corso di una riunione con i funzionari della sicurezza nazionale nella Situation Room per discutere dell'Iran, infatti, Trump decise di cambiare improvvisamente argomento e mise all’apice dell’ordine del giorno la concessione di asilo e cittadinanza ai contadini bianchi sudafricani. Secondo John R. Bolton, all'epoca suo consigliere per la sicurezza nazionale e presente all'incontro, il tycoon già pensava da tempo agli agricoltori afrikaner come una minoranza da salvare.

L’ipotesi del complotto anti-bianchi, poi, è riemersa fin dai primi mesi del nuovo mandato. Sotto l’evidente influsso del sudafricano Elon Musk che parla da tempo di «genocidio dei bianchi» e di «leggi razziste sulla proprietà» il presidente americano a febbraio ha cominciato a denunciare una presunta «uccisione su larga scala degli agricoltori» in Sudafrica, e fatto intendere che avrebbe derogato alla sua totale chiusura a ogni forma di asilo o accoglienza di migranti, solo per concedere lo status di rifugiati agli agricoltori afrikaner.

I dati che i suprematisti bianchi portano a conforto della teoria sono una serie di omicidi avvenuti negli anni scorsi le cui vittime erano bianche. Ramaphosa ha sempre contrastato la teoria della persecuzione contro gli afrikaner e ha provato nel corso dell’incontro, con scarsi risultati, a spiegare che la criminalità è purtroppo un problema diffuso ma assolutamente non specifico dei sudafricani bianchi.

Un tribunale sudafricano, inoltre, aveva dimostrato quanto le accuse di genocidio bianco fossero totalmente infondate e «chiaramente immaginarie» all’indomani della revoca che lo stesso tribunale aveva deciso delle donazioni di un magnate al gruppo suprematista bianco Boerelegioen per «portare avanti i messaggi di odio razziale e separazione».

«Il summit – ha dichiarato Zolan Kanno-Youngs, giornalista della Casa Bianca per il New York Times – è stato un esempio lampante di un leader straniero che ha cercato di dare una verifica della realtà a Trump, che invece ha amplificato teorie marginali».

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