La scure si è abbattuta sul 90 per cento dei fondi: il paese affronta un grave calo nei servizi, con cliniche chiuse e migliaia di sanitari licenziati. Ed è anche crisi diplomatica
A quattro mesi di distanza dall’interruzione del 90 per cento del finanziamento ai programmi dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (Usaid), le conseguenze iniziano a farsi visibili — e sono gravi.
Il Sudafrica, che ospita la più ampia popolazione di sieropositivi al mondo, sta registrando un calo significativo nei servizi di test e monitoraggio dell’Hiv, in particolare quelli legati al Piano di Emergenza Presidenziale per l’Aids (Pepfar), fondo lanciato nel 2003 dagli Stati Uniti per sostenere la lotta all’Aids.
Oltre 600mila decessi
Un tempo epicentro globale della crisi dell’Hiv/Aids, il Sud Africa è il paese che ha ancora il più alto tasso di Hiv al mondo, con un adulto su cinque che attualmente convive con il virus.
La brusca interruzione degli aiuti a gennaio ha portato alla chiusura di circa 40 progetti sanitari finanziati da Usaid in Sudafrica e al licenziamento di circa 8.493 membri del personale sostenuto dal Pepfar. Di conseguenza, molte cliniche hanno chiuso e servizi essenziali come i test, l’assistenza e il trattamento dell’Hiv sono stati gravemente compromessi.
L’impatto sul paese è profondo: tra marzo e aprile, i test sulla carica virale e quelli diagnostici sono crollati fino al 21 per cento in gruppi demografici chiave. Sono stati colpiti in particolare i gruppi di popolazione più fragile, tra cui donne incinte, neonati e giovani tra i 15 e i 24 anni. Il calo dei test sulla carica virale è dimostrato dai dati visionati dall’agenzia di stampa Reuters, del National Health Laboratory Service, nell'ambito della funzione di sorveglianza che il servizio di laboratorio fornisce al Dipartimento della Salute nazionale.
Le proiezioni suggeriscono che la sospensione del sostegno al Pepfar, in assenza di un piano di transizione, potrebbe causare circa 601.000 decessi legati all’Hiv e 501.000 nuove infezioni nel prossimo decennio.
Sistema sanitario
Per prevenire tali conseguenze, il Dipartimento della Salute sudafricano ha avviato nei mesi scorsi un processo di consultazione con le organizzazioni interessate per valutare l’impatto e sviluppare interventi. Nel frattempo il Programma delle Nazioni Unite per l’Hiv/Aids ha invitato il settore privato a contribuire in modo più significativo alla risposta all’Hiv, proponendo la creazione di un Fondo di solidarietà sudafricano contro l’Hiv. Attualmente, il settore privato contribuisce per circa il 2 per cento: aumentare tale contributo potrebbe aiutare a colmare il deficit del 17 per cento causato dal congelamento dei finanziamenti statunitensi.
Il ministro della Salute sudafricano Aaron Motsoaledi ha dichiarato la scorsa settimana che il governo non ha ancora ottenuto nuovi finanziamenti per l’Hiv dop o il taglio degli aiuti da parte degli St ati Uniti, ma ha anche smentito le notizie secondo cui il programma sudafricano contro l’Hiv avrebbe subito gravi ripercussioni in seguito ai tagli. Motsoaledi, pur riconoscendo i problemi, ha affermato che è inconcepibile che il programma possa crollare, accusando i media di diffondere un messaggio distorto e allarmistico. Il taglio dei fondi per la prevenzione dell’Hiv avviene in un momento di forte tensione diplomatica tra Sudafrica e Stati Uniti.
A marzo, attuando un controverso ordine esecutivo del presidente Donald Trump, l’amministrazione americana ha sospeso tutti gli aiuti, accusando il governo sudafricano di violazioni dei diritti umani nei confronti delle minoranze bianche, in seguito all'approvazione dell’Expropriation Act, che disciplina l’esproprio di terre senza compensazione. A queste accuse si è aggiunta la concessione di asilo negli Stati Uniti a 49 cittadini sudafricani, con dichiarazioni che parlano apertamente di «persecuzioni». Il governo sudafricano ha respinto le accuse, ribadendo che le riforme mirano a correggere le disuguaglianze storiche.
Tuttavia, le relazioni bilaterali si sono ulteriormente deteriorate quando Washington ha annunciato il boicottaggio del prossimo vertice del G20 previsto a Johannesburg, ritirando la partecipazione delle sue agenzie. Nel tentativo di contenere l’escalation, il presidente Cyril Ramaphosa ha avviato un dialogo diplomatico diretto, anche attraverso contatti economici con aziende statunitensi, tra cui Tesla e Starlink.
Mercoledì 21 maggio è previsto un incontro tra i due presidenti a Washington, il primo dall’insediamento di Trump a gennaio, nel tentativo di riaprire un canale di confronto formale, Intanto, il futuro della lotta all’Hiv in Sudafrica resta incerto: il rischio è che anni di progressi vengano vanificati da una crisi che mescola sanità, politica e diplomazia internazionale.
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