Il 31 maggio di quest’anno l’intero team editoriale di Climate.gov è stato licenziato per ordine dell’amministrazione Trump. Dieci professionisti — comunicatori scientifici, grafici, web developer, climatologi — sono stati allontanati in blocco. Il portale, fino ad allora riferimento pubblico della Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) per i dati climatici, è stato lasciato online ma privato di aggiornamenti, sepolto nelle strutture burocratiche e de-indicizzato dai motori di ricerca. La sezione “Teaching Climate”, usata da migliaia di scuole statunitensi, è stata svuotata. Il sito GlobalChange.gov, che ospitava i National Climate Assessments previsti dalla legge federale, è stato chiuso il 1° luglio. In tutto, sono sparite oltre 8.000 pagine web e 3.000 dataset da agenzie come Epa (Environmental Protection Agency), Cdc (Centers for Disease Control and Prevention) e Hhs (Department of Health and Human Services).

Non è stata una ristrutturazione tecnica. È stata un’epurazione ideologica. A orchestrarla è stato Donald Trump in persona, nel suo secondo mandato, attraverso ordini esecutivi formalmente rivolti a obiettivi di “efficienza” e “semplificazione”. L’ordine “Ending Radical Government DEI Programs” — che prendeva di mira la diversità e l’inclusione (Dei: Diversity, Equity and Inclusion) — è servito come pretesto per eliminare anche i contenuti ambientali. E mentre nei comunicati della Casa Bianca si negava qualsiasi intento censorio, nei fatti scomparivano dai portali federali dati su riscaldamento globale, alluvioni, uragani e salute pubblica.

No alla scienza climatica

Il messaggio politico era limpido: lo stato non deve più produrre e diffondere scienza climatica. A partire dalla Noaa, fino alla soppressione dell’American Climate Corps, con l’eliminazione di 14 miliardi di dollari in sovvenzioni ambientali già approvate. Per Trump, la scienza del clima è un nemico. E la conoscenza pubblica una minaccia.

La reazione, però, è stata immediata. Edgi — Environmental Data & Governance Initiative, rete civica fondata nel 2016 — ha riattivato il monitoraggio sistematico dei siti federali. Ha documentato ogni rimozione, ha pubblicato confronti tra versioni archiviate e pagine modificate, ha rilanciato guide Foia (Freedom of Information Act) per aiutare cittadini e ricercatori a recuperare informazioni cancellate. Nel frattempo, il movimento Data Rescue — rete di università, archivi digitali e attivisti — ha messo in sicurezza i dati a rischio. La parola d’ordine: proteggere i dati finanziati con soldi pubblici da un governo che vuole farli sparire.

A tutto questo si è aggiunta l’azione comunicativa: dal 28 maggio al 1° giugno 2025, oltre 200 meteorologi e climatologi hanno organizzato un livestream di 100 ore su YouTube. Una maratona scientifica per spiegare, senza filtri, l’impatto dei tagli sulla sicurezza pubblica.

L’alternativa

Ma il gesto più potente è arrivato da chi ha subito i tagli sulla propria pelle. Rebecca Lindsey, storica managing editor di Climate.gov, licenziata a febbraio, ha riunito parte del vecchio team per lanciare una nuova piattaforma: Climate.us. Non è un archivio nostalgico. È una no-profit indipendente, finanziata con crowdfunding e sostenuta da organizzazioni come Multiplier ed Edgi. Il suo obiettivo è ricostruire, pezzo per pezzo, l’infrastruttura pubblica distrutta da Trump. «Il sito federale è ancora online, ma intenzionalmente sepolto», ha spiegato Lindsey. «Noi vogliamo rendere di nuovo accessibili le informazioni che i cittadini hanno già pagato».

Climate.us non si limita a ripubblicare articoli: offre strumenti operativi, come mappe del rischio alluvioni, servizi per enti locali, dati aggiornati su temperature, uragani, eventi estremi. È un’infrastruttura civica, pensata per sostituire quella statale. «Ora possiamo usare TikTok», ha detto Lindsey, sottolineando la libertà rispetto alle rigidità federali. Ma il punto non è il linguaggio social. Il punto è l’urgenza. «Dobbiamo agire subito, prima che la prossima crisi ci colga impreparati».

Le conseguenze dell’oscuramento di Climate.gov non colpiscono solo gli scienziati. Colpiscono ogni comunità che dipende da dati affidabili per prevenire rischi e proteggere vite. Le amministrazioni locali, senza accesso a mappe di rischio aggiornate, sono cieche di fronte a incendi, alluvioni e ondate di calore. Gli insegnanti perdono strumenti gratuiti per l’alfabetizzazione climatica. I medici non possono più contare su dataset sanitari per correlare impatti ambientali e patologie. Gli agricoltori, senza informazioni sulle tendenze stagionali, pianificano alla cieca. E la disinformazione si infiltra proprio dove dovrebbe esserci una guida pubblica.

Il Council on Strategic Risks — think tank specializzato in sicurezza climatica — lo ha riassunto con chiarezza in un rapporto dell’11 giugno 2025: «Privare la società di informazioni ambientali è una minaccia sistemica alla sicurezza nazionale». Ora c’è una forma nuova di servizio pubblico, costruita fuori dai palazzi, per proteggere un diritto elementare: sapere cosa sta accadendo al nostro pianeta.

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