Sul memorandum con la Tunisia è scontro aperto tra il parlamento e la commissione europea: lo scorso 14 marzo, l’emiciclo di Strasburgo ha adottato una risoluzione che contesta il versamento, approvato da Bruxelles dieci giorni prima, di 150 milioni di euro per il sostegno al bilancio del paese nordafricano nell’ambito dell’accordo siglato lo scorso luglio sotto gli auspici della premier Meloni.

Gli eurodeputati lamentano che la somma sia stata erogata in un’unica tranche con una procedura d’emergenza, senza consultare il parlamento e senza porre condizioni. In particolare, il testo sottolinea che «sotto la presidenza di Kais Saied, la Tunisia ha subìto un'inversione autoritaria e un’allarmante regressione in materia di democrazia, diritti umani e Stato di diritto» e che «nell'ultimo anno il presidente ha fatto arrestare e detenere in maniera arbitraria politici dell'opposizione, giudici, operatori dei media e attivisti della società civile».

Reprimere il dissenso

La risoluzione riprende quanto la società civile tunisina denuncia da mesi: secondo l’ong Al Bawsala, nell’ultimo anno almeno 29 personalità pubbliche sono state incriminate dopo aver espresso dissenso nei confronti del presidente, che nel 2021 ha liquidato governo e parlamento per poi dissolvere, l’anno successivo, il Consiglio superiore della magistratura e riscrivere la Costituzione.

«Le accuse che vengono mosse contro gli oppositori vanno dal complotto contro la sicurezza dello Stato allo spionaggio per conto di una potenza straniera, passando per la cospirazione e l’apologia del terrorismo.

Per alcuni di questi reati è prevista anche la pena di morte», spiega un analista tunisino. Preferisce non rivelare la propria identità perché «chiunque si espone su questi temi rischia di essere perseguito, a maggior ragione se parla con media stranieri».

Spiega che in alcuni casi i giudici, quelli sopravvissuti alla purga di Saied e quindi “leali”, hanno vietato formalmente a giornali e televisioni di informare sui processi. A completare l’arsenale repressivo, nel settembre del 2022 Saied ha adottato il “decreto 54” che, come ha denunciato la Commissione internazionale dei giuristi, «permette alle autorità tunisine di limitare illegalmente e arbitrariamente la libertà d’espressione con il pretesto di lottare contro la criminalità informatica e le fake news».

Sciopero della fame

Il mese scorso, alcuni degli oppositori incarcerati hanno iniziato lo sciopero della fame, mentre le famiglie e diverse organizzazioni della società civile hanno protestato per chiederne la liberazione. Tra loro anche Rashid Ghannouchi, presidente di Ennahda, il principale partito d’opposizione, condannato prima per apologia di terrorismo e poi per finanziamenti illeciti dall’estero.

Altri non hanno ancora ricevuto un giudizio: la legge tunisina prevede che la custodia cautelare non possa eccedere i 14 mesi, ma in diversi casi la soglia è stata superata. «Il presidente Saied ha interesse a tenere gli oppositori in carcere il più a lungo possibile – spiega l’analista – a maggior ragione in vista delle prossime elezioni presidenziali».

La consultazione dovrebbe tenersi il prossimo ottobre, ma non ci si aspettano sorprese: Saied ha liberato il campo dai principali concorrenti. L’unica incognita è la partecipazione: in occasione del referendum per l’approvazione della nuova costituzione nel luglio del 2022, meno di un tunisino su tre si era recato alle urne, mentre le legislative che si sono tenute tra dicembre dello stesso anno e gennaio di quello successivo il tasso ha superato di poco l’11 per cento.

«Saied vuole terrorizzare la popolazione, e ci sta riuscendo: oggi in Tunisia è tornata la paura, è tornato lo Stato di polizia». Commenta così Moncef Marzouki, primo presidente tunisino eletto democraticamente dopo la rivoluzione del 2011.

Oggi si trova in esilio a Parigi, perché anche lui è finito sulla “lista nera” di Saied. Dopo una prima condanna per “minaccia alla sicurezza nazionale” nel 2021, lo scorso febbraio un tribunale tunisino l’ha giudicato in absentia colpevole di “incitamento al rovesciamento del governo”, dandogli altri otto anni.

«L’ho saputo dai giornali – dice –. Almeno sotto Ben Ali (il presidente-dittatore rovesciato dalle proteste del 2011, ndr) ricevevo una convocazione e potevo essere rappresentato da un avvocato. Poi il processo era una farsa, ma almeno le forme erano rispettate. Ora neanche quelle».

«Democratici a casa loro»

Dal colpo di stato istituzionale del 2021, e ancor di più dall’inizio dell’ondata di arresti nel febbraio del 2023, i vertici dell’Unione europea e i diversi governi degli Stati membri hanno condannato la deriva autoritaria di Saied, o quantomeno espresso preoccupazioni. Salvo poi stringergli la mano sorridenti in occasione della firma dell’accordo.

Marzouki non si stupisce: «L’abbiamo capito da un pezzo: gli stati occidentali sono democratici solo a casa loro, mentre all’estero vanno a braccetto con le dittature. Il problema è che questo danneggia anche noi, perché la gente identifica la democrazia con l’ipocrisia».

In Europa, l’Italia è stata più restia e timida dei vicini nel condannare le azioni repressive di Saied, anzi si è mostrata molto disinvolta nel gestire i rapporti con lui come se nulla fosse: Meloni è stata più volte in visita ufficiale a Tunisi e ha accolto il presidente con tutti gli onori a Roma prima per la Conferenza su sviluppo e migrazioni dello scorso luglio, poi per la Conferenza Italia-Africa di gennaio.

«L’unica cosa che interessa al governo italiano è che la Tunisia le faccia da guardia di frontiera – commenta Marzouki –. Non capiscono però che i flussi continueranno finché ci sarà povertà, e le dittature la povertà non fanno che aumentarla: in Tunisia sotto Saied sono tornate le file per prendere il pane, non si vedevano da decenni. Il problema è che, anche nelle democrazie, la classe politica ragiona in termini di guadagno elettorale immediato e non sul lungo termine. Pazienza, faremo senza il loro aiuto».

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