La visita a Tunisi del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, il 15 maggio, accompagnata dalle promesse del governo italiano di continuare a fornire al governo tunisino mezzi e risorse per il pattugliamento delle coste, rappresenta un passo ulteriore nel cammino intrapreso dal governo Meloni su una strada scivolosa.

Nel tentativo di fermare le partenze, l’Italia offre assistenza al governo tunisino senza pretendere un maggior rispetto dei diritti umani, così facendo rischia di rafforzare un leader crescentemente repressivo e di fomentare maggiori abusi.

La deriva

La Tunisia sta attraversando una profonda crisi istituzionale, economica e sociale. Dal colpo di mano del presidente Kais Saied del 25 luglio 2021 – a dieci anni dalla caduta di Ben Ali e dall’inizio della costruzione di un nuovo sistema costituzionale basato sullo stato di diritto e sul rispetto dei diritti umani – la Tunisia si è avvitata in un vortice autoritario. Saied ha assunto poteri eccezionali, sciolto il parlamento, governato per decreto, e adottato una Costituzione che espande i poteri dell’esecutivo e minaccia i diritti umani. 

Se la nuova Costituzione dà al presidente l’ultima parola sulla nomina dei giudici, Saied si è anche attribuito via decreto-legge il potere di licenziare quelli in funzione – potere che ha immediatamente esercitato cacciando 57 giudici. Saied ha anche adottato leggi che restringono la libertà di espressione, norme che sono state usate per aprire indagini contro alcuni tra i più noti oppositori del governo.

A partire dallo scorso febbraio le autorità hanno arrestato oltre 20 persone, tra attivisti, avvocati, giornalisti ed esponenti politici, compreso Rached Ghannouchi, leader del principale movimento politico di opposizione, Ennahda.

Pochi giorni fa, Ghannouchi è stato condannato a un anno di prigione, sulla base della legge antiterrorismo, per aver detto a un funerale che il defunto non aveva paura «di un governante o di un tiranno». Indagini sono state aperte anche contro quattro noti avvocati, compreso un difensore di leader politici di opposizione, una avvocata da lungo impegnata per i diritti delle donne, il leader di un partito politico di opposizione impegnato da decenni per promuovere riforme democratiche, e un ex ministro della Giustizia. A molte delle persone indagate viene contestato, senza prove, di aver cospirato contro lo stato.

Discorsi d’odio

In un periodo di alta inflazione, le politiche incoerenti di Saied hanno fomentato ulteriore instabilità economica e sociale, ma anche violenza nei confronti di rifugiati e migranti. Lo scorso 21 febbraio, Saied ha pronunciato un discorso razzista e xenofobo contro persone dell’Africa sub-Sahariana, che ha sollevato un’ondata di aggressioni a sfondo razzista contro le persone nere in Tunisia. Manuela D, una ventiduenne rifugiata camerunense, ha raccontato ad Amnesty International che, fuori da un bar, sei uomini l’hanno attaccata e accoltellata, infliggendole ferite orribili al petto, al ventre e sul volto.

Molte altre persone sono state cacciate dalle loro abitazioni e derubate dei loro beni personali. Le organizzazioni locali hanno anche documentato centinaia di arresti, espulsioni e violenze contro persone nere, tra cui migranti, studenti e richiedenti asilo. Unione africana, Nazioni unite, Stati Uniti e organizzazioni di difesa dei diritti umani hanno reagito agli attacchi allo stato di diritto, alla repressione del dissenso e ai commenti xenofobi di Saied.

Anche il Parlamento europeo e alcuni governi europei hanno condannato le sue misure repressive. Da parte sua, il governo italiano, preoccupato dall’incremento degli arrivi via mare, ha invece portato avanti un’azione diplomatica per convincere istituzioni finanziarie internazionali e qualunque governo in grado di farlo a finanziare il governo di Saied.

Già da febbraio, la premier Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani si sono espressi per chiedere al Fondo monetario internazionale, all’Unione europea, agli Stati Uniti e addirittura a Emirati Arabi, Qatar, Algeria e Israele di mettere fondi a disposizione. Dunque, il governo italiano non si sta limitando a fornire motovedette ai guardacoste tunisini – pare che 12 ne siano già state consegnate e quattro siano in arrivo – ma si sta prodigando per aiutare Saied ad uscire dal vicolo cieco finanziario in cui ha portato il paese.

Il problema è che, pur di bloccare le partenze di rifugiati e migranti dalle coste tunisine, il governo italiano sta chiudendo gli occhi rispetto agli abusi fomentati dal governo tunisino. In qualche modo, l’Italia riutilizza la stessa strategia impiegata in Libia, ignorando il recente rapporto Onu che ha messo in luce la corresponsabilità italiana per crimini contro l’umanità commessi in Libia, ed esponendosi ai ricatti di un regime sempre più repressivo.

Tra l’altro, le violazioni dei diritti di rifugiati e migranti – in un paese che non ha una norma sull’asilo, ma ne ha una per criminalizzare l’omosessualità – potrebbe far aumentare le partenze. L’approccio del governo pare dunque miope, oltre che immorale e potenzialmente illegale.

Piuttosto che mettere pressione sui suoi partner internazionali, affinché anch’essi ignorino le politiche disastrose di Kais Saied, il governo dovrebbe condizionare il suo supporto ad azioni decise e concrete per ristabilire lo stato di diritto, per porre fine agli attacchi contro libertà di espressione e oppositori politici, e per contrastare qualunque forma di discriminazione. Non è militarizzando le frontiere che si disincentivano le partenze, ma garantendo diritti e dignità a tutti, compresi rifugiati e migranti.

 

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