L’attacco contro le milizie curde nel nord della Siria e in Iraq potrebbe essere solo l’inizio di una nuova operazione militare, ha lasciato intendere il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. «La nostra non sarà soltanto un’operazione aerea», ha detto ieri dopo che domenica una serie di attacchi aerei e bombardamenti in Siria ed Iraq hanno ucciso almeno cinquanta persone, tra cui miliziani curdi, soldati dell’esercito siriano e civili.

È un’azione che potrebbe destabilizzare ulteriormente una delle regioni più complesse del Medio oriente, dove oltre a turchi e curdi si fronteggiano anche svariati gruppi di fondamentalisti islamici, l’esercito del regime siriano e i suoi alleati russi e iraniani e dove sono tuttora presenti piccoli contingenti di soldati americani.

A pagarne il prezzo peggiore rischiano di essere ancora una volta i curdi, una popolazione senza stato che vive tra Turchia, Siria, Iraq ed Iran, dove proprio nelle ultime settimane sono stati duramente colpiti della autorità nel corso della reazione alle proteste che da settembre attraversano il paese.

Gli attacchi

I turchi hanno giustificato i nuovi attacchi come una rappresaglia per l’attentato di Istanbul in cui lo scorso 13 novembre sono morte sei persone. La Turchia accusa dell’attacco il Pkk, un gruppo curdo che dagli anni Ottanta combatte contro il governo di Ankara e per maggiore autonomia dei curdi che vivono in Turchia. Il Pkk, che è considerato un gruppo terroristico da Stati Uniti ed Unione europea, ha respinto le accuse.

L’aviazione turca ha condotto almeno 50 attacchi aerei, la metà contro basi del Pkk nel Kurdistan iracheno, al confine con la Turchia, gli altri nel nord della Siria, dove opera l’Ypg, una milizia vicina al Pkk, ma appoggiata dagli Stati Uniti e dagli altri paesi che partecipano alla coalizione contro l’Isis.

Tra gli obiettivi colpiti ci sono un distributore di benzina e un silos di grano. É stata bombardata anche la città siriana di Kobane, famosa per la resistenza delle sue milizie all’assalto dello Stato islamico nel 2014-2015. Altri obiettivo sono stati colpiti nei pressi delle città di Aleppo, Raqqa e Hasakah. Almeno tre soldati siriani sono stati uccisi negli attacchi secondo il governo di Damasco.

Oggi, sostiene il governo turco, milizie dell’Ypg hanno risposto agli attacchi bombardando la città turca di Gazientep, oltre il confine siriano, dove almeno tre persone sarebbero morte. 

Mentre gli attacchi di domenica costituiscono un’escalation per quantità e tipo di bersagli colpiti, è dal 2019 che truppe turche sono impegnate in operazioni via terra a cavallo del confine con l’Iraq, una zona sotto controllo del governo autonomo del Kurdistan iracheno, ma dove sono situate numerosi basi del Pkk. 

L’operazione di terra

Un eventuale attacco di terra turco in Siria sarebbe la quarta operazione militare di questo tipo dal 2016. Al momento l’esercito turco controlla diverse città e villaggi oltre il confine siriano, lungo un fascia profonda circa cinquanta chilometri. Gli attacchi sono stati giustificati con la necessità di colpire le milizie curde accusate di minacciare la sicurezza del paese.

L’ultimo di questi attacchi è avvenuto nel 2019, dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva ordinato il parziale ritiro dei soldati americani che da anni combattevano con le truppe curde, inserite nella coalizione Syrian defence force (Sdf). 

Dopo la decisione di Trump, i curdi siriani hanno raggiunto un accordo con il regime siriano e la Russia che lo sostiene. Oggi i curdi mantengono il controllo di una parte significativa della Siria nord orientale, compresi alcuni dei più importanti pozzi petroliferi del paese tramite la semi-ufficiale Amministrazione autonoma del nord e dell’est della Siria.

In caso di nuova operazione militare, i leader curdi-siriani hanno promesso che per la Turchia sarà «l’inizio di una lunga guerra» e che i miliziani avranno «il diritto di difendere i loro territori». 

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