Francesco è l’ultimo papa? La domanda può sorprendere ma aiuta a riflettere sul suo pontificato, che compie dieci anni. Tutto nasce da un testo che torna a ogni conclave: le presunte profezie attribuite a un santo irlandese, Malachia, arcivescovo di Armagh morto nel 1148.

È però un falso, di oltre quattro secoli dopo, studiato anche da un gigante della storia del cristianesimo come Adolf von Harnack. Nell’applicare un motto a ogni papa a partire dal 1143, l’elenco è piuttosto aderente ai vari papi fino al 1590, anno della sua composizione, poi si fa inevitabilmente generico e oscuro.

Ma ora siamo alla fine. Infatti, dopo l’enigmatica «gloria dell’olivo» assegnata a Ratzinger, non ci sono altri motti, bensì una frase: sull’«ultima persecuzione» della chiesa, il pontificato tribolato di un «Pietro romano» e il giudizio finale.

Per di più, qualche anno fa stavano per finire anche i tondi riservati ai ritratti papali nella basilica romana di San Paolo fuori le Mura, ma subito si è trovato altro spazio, in modo da proseguire la serie per almeno tre secoli.

La conclusione della profezia, su un pontefice regnante tra persecuzioni e difficoltà che non mancano mai, non sarebbe un annuncio della fine del mondo, ma del papato. O della sua attuale configurazione.

E, senza motto, Bergoglio potrebbe essere l’ultimo papa, o quello che prepara un altro modo di esserlo. Nel 2016 fu però Ratzinger, nelle Ultime conversazioni con Peter Seewald, a dire con lucidità: «Io non appartengo più al vecchio mondo, ma quello nuovo in realtà non è ancora incominciato».

Con un cenno ironico a Malachia: forse «la lista non era ancora abbastanza lunga!».

Primo non europeo eletto dopo tredici secoli, il pontefice ha scelto un nome non papale ma molto espressivo: quello del santo di Assisi, il cristiano per eccellenza.

E già nelle riunioni precedenti il conclave Bergoglio aveva capovolto la bellissima immagine di Gesù che, nel terzo capitolo dell’Apocalisse, bussa alla porta per cenare con chi gli aprirà: penso che «bussi da dentro perché lo lasciamo uscire». In modo che la missione della chiesa possa arrivare alle «periferie», da cui lui stesso proviene.

Francesco è un gesuita di formazione molto tradizionale e, per sua ammissione, autoritario. Nella critica al clericalismo e alla «mondanità» degli ecclesiastici, così come nei progetti di riforma, ha dimostrato sicuramente coraggio.

Ma restano evidenti contraddizioni, denunciate persino dai suoi sostenitori: sul contrasto agli abusi e alla corruzione finanziaria, anche con un uso inedito del potere giudiziario nello stato vaticano; sulle richieste sempre più pressanti di fare davvero spazio nella chiesa ai laici, e in particolare alle donne; ma soprattutto sull’esercizio del potere papale.

Tutti nodi che l’ultimo papa non è riuscito finora a sciogliere.

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