La guerra è questione di durata. Specie quella che sta sconvolgendo l’Ucraina. Cosa i russi possono ottenere, cosa gli ucraini dovranno concedere, dipenderà dalla lunghezza delle ostilità. In formula: quanto reggerà l’armata russa, sostanziata dal fronte interno, quanto combatterà l’esercito ucraino, informato dalla popolazione locale e dagli apparati statunitensi.

In principio il Cremlino ha sbagliato guerra. Ha sottovalutato il nemico, nell’illusione fosse lo stesso di otto anni fa, quando durante la rivolta di Maidan gli uomini verdi si sono presi la Crimea e hanno agitato il Donbass senza (quasi) sparare un colpo. Nel frattempo l’esercito ucraino è stato armato e addestrato dalla Nato, ha imparato a muoversi come una formazione di guerriglieri anziché di truppe regolari, ha accolto il sostegno dell’opinione pubblica, pronta ad affrontare le avversità.

Sicura di piegare gli ucraini con la riproduzione dello sfortunato shock & awe di americana memoria, Mosca s’è lanciata sul terreno con un ridotto numero di uomini e troppi carri armati, per raggiungere rapidamente Kiev e imporre il cambio di regime. Finendo dentro la tenaglia di un esercito che colpisce e rincula, ingrossato da migliaia di civili e combattenti stranieri (specie americani), a conoscenza delle manovre altrui per imbeccata del Pentagono, su un immenso fronte di circa 3mila chilometri.

Superato l’abbaglio iniziale, l’Orso si è riorganizzato. Ha dato massima priorità al controllo del litorale, al congiungimento tra Crimea e Donetsk, all’annessione dell’omofono territorio di Sloboda. Bombardando massicciamente le città, inviando oltreconfine migliaia di volontari (specie mediorientali), accettando un conflitto più lungo del previsto.

L’esito strategico dell’invasione sarà deciso dalla resistenza dei rispettivi fronti interni e dello statunitense patron di Kiev. Il Cremlino sta accelerando le operazioni per scongiurare lo sdegno dell’opinione pubblica russa, poco incline ad accettare un enorme numero di caduti tra i propri soldati, a tollerare prolungate atrocità commesse sugli ucraini, «vicini traviati dall’occidente» secondo il canone moscovita ma comunque consanguinei. Con l’obiettivo ultimo di trasformare l’Ucraina in uno stato cuscinetto smilitarizzato e neutrale, amputato di intere regioni.

Gli ucraini sono impegnati a infliggere il maggior numero di perdite al violento vicino, a scalfirne il morale già fiaccato dalla natura drammaticamente familiare della campagna, a rallentare l’avanzata dei convogli. Con lo scopo di prevenire la resa totale, di conservare le istituzioni nazionaliste e occidentaliste. Anche oltre la fine delle ostilità convenzionali, verso un secondo tempo segnato da endemica ribellione. A patto che fame e distruzione non ne obliterino il convincimento. Con la cruciale variabile della Casa Bianca, principale referente di Volodymyr Zelensky, impegnata a trasformare l’Ucraina in nuovo Afghanistan (così parlò Hillary Clinton a nome di Joe Biden), per compattare il fronte occidentale e ridurre il peso di Mosca, almeno finché la Cina non profitterà di tanta distrazione. Mentre le lancette corrono tra l’incrociata propaganda dei belligeranti. E il mondo che conosciamo muta sotto i nostri occhi.

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