«Ecco una semplice descrizione di come dovrebbe essere la pace in Ucraina: una nazione sovrana, con i suoi confini protetti da garanzie di sicurezza internazionale, parte dell’Unione europea e impegnata a ricostruire la sua economia grazie a grandi investimenti degli Stati Uniti e dell’Europa». Sono le prime parole con cui David Ignatius ha iniziato il suo articolo sul Washington Post, rivelando l'esistenza di un percorso riservato, ma pronto ad emergere, che condurrebbe l'Ucraina nell'Unione europea già nel 2027 e che garantirebbe al contempo sovranità e investimenti per la ricostruzione del paese. Secondo quanto riferitogli da funzionari americani, ucraini ed europei, questo accordo “sembra avvicinarsi”. Bisogna però prestare altrettanta attenzione a ciò che ha Ignatius ha scritto subito dopo: Trump potrebbe sempre blow it, «mandare tutto all’aria».

I dettagli su quello che potrebbe essere il punto di caduta non sono chiari. Tra gli altri snodi del piano, gli Stati Uniti fornirebbero garanzie di sicurezza «simili all'Articolo 5» della Nato per proteggere l'Ucraina qualora la Russia violasse il patto. Secondo il Washington Post l'accordo prevedrebbe inoltre l’istituzione di una zona demilitarizzata lungo l'intera linea del cessate il fuoco, dalla provincia di Donetsk nel nord-est fino a Zaporizhia e Kherson nel sud: dietro questa linea si troverebbe una zona più profonda, in cui sarebbero escluse le armi pesanti, che sarebbe attentamente monitorata come la zona che divide la Corea del Nord dalla Corea del Sud. Aggiunge il quotidiano americano che  l'Ucraina vuole che gli Stati Uniti firmino un accordo del genere e che il Congresso lo ratifichi; le nazioni europee firmerebbero garanzie separate. La sovranità di Kiev sarebbe protetta da qualsiasi veto russo. 

Ancora colloqui

Intanto, non cessano i colloqui tra ucraini e statunitensi: sono andati avanti pure ieri, come riferito dallo stesso Volodymyr Zelensky, sui «20 punti di un documento fondamentale che può determinare i parametri per porre fine alla guerra». La Coalizione dei Volenterosi si confronterà anche oggi per salvare Kiev con una pace giusta: a riguardo, ieri, per 40 minuti al telefono con Trump, ne hanno parlato il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il premier britannico Keir Starmer. Stando ad una nota del governo tedesco, in questa call si è discusso dell’«avanzamento dei colloqui» per mettere fine alla guerra, convenendo che «il lavoro intensivo sul piano di pace continuerà anche nei prossimi giorni». In questa call quello attuale è stato definito, così la nota, «un momento cruciale» per l’Ucraina e per la «sicurezza comune nell’area euro-atlantica».  

Ma ovviamente c’è anche l’altro fronte in fibrillazione, ed è quello moscovita. Perché in questi giorni Donald Trump non è l'unico a prendere a pugni con le sue parole i paesi europei. Ieri, dal ring della camera alta del Consiglio della Federazione, lo ha fatto anche il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov: ostacolano il processo di pace, la Federazione «non ha nessuna intenzione di entrare in guerra con l'Europa», ma se truppe dei Volenterosi dovessero essere schierate in Ucraina, la Russia è «pronta a reagire». Mosca «apprezza gli sforzi» del presidente americano, che sarebbe «l'unico leader occidentale» ad aver capito la cause più profonde del conflitto. Il capo della diplomazia russa ha fatto risuonare la versione di Trump per attaccare l'Europa weak, «debole»: Lavrov assicura che gli europei sono pronti a svanire “nell'oblio”, sono afflitti da “cecità”, credono di poter piegare la Russia, ma sono finiti ormai «senza speranza» e senza risorse per finanziare la guerra, al punto da «rubare oro e riserve valutarie russe» (cioè, gli asset russi congelati in Belgio).

Ulteriori omaggi a Trump e alla sua visione sulla cessione dei territori in Ucraina «in linea» con la visione di Mosca ieri sono arrivati anche dal portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, che ha ribadito che Mosca non farà alcuno sforzo diplomatico per soluzioni temporanee: «Noi lavoriamo per una pace stabile, garantita, duratura, raggiunta con la firma apposta su documenti», non per la tregua, ha chiosato ieri quando raggiunto dall'ennesima richiesta di cessate il fuoco da parte di Kiev, affossata quasi completamente dagli attacchi alle sue infrastrutture energetiche.

La furia di Zakharova

La promessa di Zelensky di tenere nuove elezioni (dopo l’attacco su questo da parte di Trump) solo se l'Ovest ne garantisce alla sicurezza ha scatenato Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, che ha parlato di «teatro delle marionette», paragonando il presidente ucraino a un personaggio di un racconto per bambini, la versione russa di Pinocchio: Zelensky è Karabas Barabas, un Mangiafuoco, che non vuole lasciare il potere.

«L’inclinazione di Trump verso il Cremlino, mostrata nella Strategia di sicurezza nazionale pubblicata dalla Casa Bianca la settimana scorsa, ha complicato le negoziazioni», ha scritto ancora Ignatius. In fondo, c'è tutto scritto in quel manifesto Maga: «I giorni in cui gli Stati Uniti sostenevano l'intero ordine mondiale come Atlante sono finiti», si invitano le nazioni a farsi carico delle responsabilità le loro regionali. Il paradosso è che l'Ucraina rimane in attesa in queste ore di garanzie dagli Usa, proprio quando Trump sembra pronto a dire addio all'Europa.

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