A un anno di distanza dall’invasione russa in Ucraina, l’occidente è più unito ma anche più isolato. Quando la guerra è iniziata, in molti l’hanno interpretata come un conflitto che avrebbe ridisegnato l’ordine internazionale.

Il campo delle idee

Oggi possiamo dire che questa guerra guarda al passato molto più di quanto guardi al futuro: frammenta più che ricomporre. Uno studio dello European Council on Foreign Relations che sonda l’opinione pubblica in nove paesi europei, nel Regno Unito, negli Usa, in Russia, Cina, Turchia e India mostra che mentre gli Stati Uniti inseguono la leadership del «mondo libero», per i “Citrus” – cioè i paesi al di fuori del perimetro ideale dell’occidente – siamo semplicemente davanti a un panorama più frastagliato, nel quale l’occidente perde la sua egemonia.

«Nell’Ue e negli Stati Uniti consideriamo l’aggressione russa come un’eccezione, perché ci consideriamo eccezionali noi. Per gli altri è semplicemente un’ennesima guerra, e si chiedono semmai perché un conflitto che riguarda l’Europa dovrebbe scatenare preoccupazioni su scala globale, mentre gli altri conflitti no», spiega Ivan Krastev, presidente del Centro per le strategie liberali di Sofia e uno degli autori della ricerca.

La guerra in Ucraina non si combatte solo sul campo di battaglia ma anche su quello dell’opinione. A un anno di distanza dallo scoppio del conflitto, i dati raccolti da Ecfr raccontano che almeno in Usa, in Ue e nel Regno Unito domina quello che i ricercatori chiamano “il partito della giustizia”: l’inverno delle bollette stratosferiche è superato e «l’occidente ne esce più unito che mai sull’obiettivo di vincere la guerra. Il punto è che è anche meno influente che mai», conclude il direttore di Ecfr, Mark Leonard. Se fosse per cinesi, indiani, turchi, la guerra dovrebbe finire il prima possibile, non importa se ciò comporti perdite territoriali per gli ucraini.

Polarizzati e isolati

Per la maggior parte dei britannici, degli americani e degli europei – rispettivamente per il 65, il 55 e il 54 per cento – la Russia è un avversario. Su questo la visione è comune, anche se Krastev osserva che ci sono sfumature diverse all’interno dell’Ue: «Noi europei abbiamo gli stessi sogni ma diversi incubi», dice.

Intende che storia e geografia nazionali comportano posture diverse: basti pensare a quanto la Polonia è più spinta sul sostegno a Kiev rispetto magari alla Germania. «C’è una ricomposizione tra est-nord e tra ovest-sud», sintetizza Krastev, pensando alle sintonie tra Varsavia e Londra. Visti da fuori, gli occidentali appaiono uniti. Il quadro cambia totalmente se ci si sposta verso Cina, India, Turchia. Per il 51 per cento degli indiani la Russia è un alleato, per il 44 per cento dei cinesi un partner necessario col quale cooperare strategicamente. Così la pensa anche il 55 per cento dei turchi.

Quale futuro?

Mentre l’opinione pubblica occidentale vede il futuro come una competizione bipolare tra Usa e Cina, gli altri immaginano uno scenario sempre più frammentato. E per paesi come l’India questa guerra rappresenta paradossalmente un’opportunità per conquistare spazio di manovra. Ecco perché secondo Timothy Garton Ash dell’università di Oxford, anche lui fra gli autori dello studio, «il principale errore strategico che l’Ue possa fare è rivolgersi a un generico sud globale invece di fare piani di azione diversi per ogni attore». Per una buona fetta di russi o cinesi, il sostegno a Kiev da parte dell’occidente serve a quest’ultimo per perpetrare il suo dominio, e la retorica della guerra agli autoritarismi di Biden non altera questa convinzione. I dati raccolti da Ecfr mostrano anzi che la maggior parte dei cinesi – il 77 per cento – considera la Cina il campione della democrazia, e gli indiani vedono così l’India. La costruzione narrativa di Washington, che divide nettamente democratici e autoritari, fuori dall’occidente non funziona. E a dire il vero anche dentro è assai fragile: Biden esalta la democrazia polacca, nonostante le violazioni dello stato di diritto.

Quando l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell dichiara che siamo come un giardino in mezzo a una giungla, lasciando intendere che fuori dall’occidente non vi sia che barbarie, non fa che alimentare il risentimento del “sud globale” per l’atteggiamento di superiorità esibito dall’occidente: visto da fuori, è il nostro giardino ad appassire.

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