È avvenuta una vera tragedia a Minsk. Roman Bondarenko è stato ucciso; aveva trentun anni. È stato colpito dalla polizia in piazza, nella capitale». Così recita uno degli ultimi post di Voices From Belarus, che è tra i tanti gruppi Telegram che raccolgono testimonianze delle proteste in Bielorussia.

Il giovane pittore, dopo essere stato fermato dalla polizia la sera di mercoledì 11 novembre mentre protestava pacificamente, nelle prime ore del mattino di giovedì è stato picchiato e portato in carcere. Poco più tardi è stato trasferito in ospedale, ormai in fin di vita, con un trauma cerebrale e il viso ricoperto di sangue. Bondarenko sarebbe morto il giorno seguente, dopo un intervento chirurgico di diverse ore.

Secondo le autorità la causa del decesso è riconducibile a un’intossicazione da alcol, dichiarazione che ha profondamente indignato l’opinione pubblica del paese. L’Ue si è ancora una volta pronunciata in merito, condannando con forza la morte dell’artista: «Roman Bondarenko è deceduto per la brutalità di poliziotti in borghese», ha dichiarato in un comunicato Josep Borrel, alto rappresentante Ue. «Questo è il risultato oltraggioso e vergognoso delle azioni delle autorità bielorusse. Siamo pronti a imporre sanzioni supplementari», ha aggiunto.

«Un uomo è stato ucciso perché voleva vivere in un paese libero», ha detto Svetlana Tikhanovskaja, leader dell’opposizione, invitando a scendere in piazza del Cambiamento, celebre ritrovo dei manifestanti, per rendere omaggio al pittore.

In Bielorussia ormai una storia come questa è la prassi. Non è consentito manifestare, non è consentito opporsi al regime. Se non vieni ammazzato, rischi comunque di essere arrestato, e dal carcere nessuno saprà più nulla di te.

Le violenze in carcere

«Il mio amico Dimitri è ancora dietro le sbarre, non so cosa gli stia succedendo. Non sono ammessi avvocati. È stato picchiato e arrestato durante un corteo. Ha solo 19 anni». Così racconta Vitali Z., ricercatore di 27 anni, che insieme alla moglie è stato in prima linea durante le proteste contro l’ennesima rielezione di Aleksandr Lukashenko, da 26 anni al potere.

Testimonia quel che sta succedendo tramite Telegram. «Sono in contatto con la famiglia che non dorme da giorni, non sanno più niente di lui», dice. «Soltanto domenica scorsa, sono stati più di mille gli arresti in tutto il paese, la maggior parte a Minsk, centro nevralgico del movimento rivoluzionario».

Le strade della capitale e delle più grandi città bielorusse si sono infatti riempite, come ogni domenica, di pacifici dissidenti, armati di canti e di determinazione. Le autorità hanno però ancora una volta represso brutalmente le manifestazioni, con estrema violenza e sistematici arresti.

«Le nostre proteste sono solo pacifiche», dice Vitali, «ma veniamo puntualmente picchiati nelle piazze; le forze di polizia antisommossa sparano ad altezza d’uomo fumogeni e proiettili di gomma. Chi viene arrestato e trascinato nelle prigioni del regime viene torturato; alcuni addirittura sono violentati dalla polizia. La maggior parte scompare e non se ne hanno più notizie».

Le versioni del regime

Le elezioni, svoltesi il 9 agosto in Bielorussia, stando al regime hanno visto la vittoria di Lukashenko con oltre l’80 per cento dei voti. La sua sfidante Svetlana Tikhanovskaya avrebbe ricevuto il 10 per cento di voti.

Le elezioni però «non rispettano gli standard internazionali richiesti da uno stato membro dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa». Per il Consiglio europeo le elezioni non sono state «né libere, né eque».

Honest People, associazione indipendente che ha monitorato le elezioni in Bielorussia, ha segnalato più di 5mila violazioni nel processo di voto. Le votazioni si sono svolte in un clima di totale controllo sulla stampa, tramite voto anticipato (che consente di compiere brogli elettorali con più agilità) e sotto il diretto controllo della Cec, la Commissione elettorale centrale della Bielorussia.

«Non importa che tu sia un famoso atleta o un medico che ogni giorno affronta il Covid-19, se non sei d’accordo con il dittatore, sarai eliminato», dice Vitali. «Qui poi, dell’emergenza non si sente parlare».

Nessuno infatti in Bielorussia ha informazioni comprovate circa i casi e l’ammontare dei decessi da Covid-19: «Le notizie ottenute in via confidenziale dagli operatori sanitari suggeriscono che la situazione è terribile, ma al governo non interessa affatto: il bollettino ufficiale dichiara che non c’è Covid-19 in Bielorussia. Vodka, trattore e lavoro sul campo curano tutte le malattie! Questo è ridicolo ma è così che viviamo».

Qual è la posta in gioco? «Tutto», per Vitali. «Tutti noi conosciamo il prezzo. Se perdiamo, coloro che sono stati arrestati resteranno in prigione e gli altri vivranno da schiavi. Non possiamo più permettercelo». Alle manifestazioni prendono parte studenti, lavoratori, insegnanti, informatici, medici. Anche le persone anziane hanno fatto la loro marcia.

«Siamo centinaia di migliaia, settimana dopo settimana scendiamo in piazza, pacificamente. Nessuna auto bruciata, nessun lancio di mattoni, solo bandiere e canti. Il popolo è unito come mai prima nonostante la propaganda becera e la dittatura. E questo è davvero potente», dice il giovane ricercatore.

Il ruolo di Telegram

A trainare le numerose proteste contro Lukashenko c’è anche Telegram, un’applicazione di messaggistica istantanea criptata.

Il canale più grande, che contribuisce a dirigere le proteste settimanali della domenica, pare avere quasi due milioni di follower; diffonde notizie in tempo reale circa le nuove repressioni e trasmette informazioni sulla posizione della polizia antisommossa.

«Telegram è sicuro da usare e abbastanza flessibile visto che è un’applicazione cifrata. Anche senza Internet, il servizio continua a funzionare», dice l’attivista.

Alcuni canali Telegram forniscono informazioni sui codici d’accesso per edifici dove nascondersi per sfuggire alle cariche della polizia durante le rivolte, altri offrono l’indirizzo dei punti segreti di primo soccorso. Uno dei canali è stato addirittura fondamentale per la ricerca e la pubblicazione di elenchi dei nominativi delle identità dei manifestanti imprigionati in alcuni centri di detenzione, come quello di Akrestina.

«Abbiamo una speciale agenzia privata, “viasna” (primavera), che controlla chi viene messo dietro le sbarre. Puoi contattarla o lasciare un messaggio qualora un parente o un amico non sia tornato a casa. Qui sono raccolti ovviamente anche i nominativi e i dati dei prigionieri politici. Il dossier viene consegnato periodicamente ad Amnesty International e ad altre organizzazioni internazionali. Abbiamo inoltre filmati forniti da persone oneste che mostrano le violenze e le torture che vengono inflitte a chi si oppone al regime».

Oltre ad Amnesty International, sul posto operano anche altre organizzazioni nazionali come Honest People e BySol, che forniscono aiuto economico nel caso in cui gli oppositori vengano picchiati o arrestati. «Anche l’Unione europea ha offerto aiuto, ma è complicato poiché sia il governo bielorusso che il governo russo considerano i finanziamenti occidentali come ingerenze nella politica interna bielorussa».

Per Vitali è diventato troppo pericoloso protestare, perché la sua casa si trova in pieno centro, i punti di incontro per le manifestazioni sono troppo lontani e correrebbe dei grossi rischi a raggiungerli senza essere intercettato dalla polizia.

«Da alcuni giorni conduco campagne di informazione; insieme ad alcuni amici e familiari faccio un’opera di sensibilizzazione, insomma utilizzo altri strumenti di lotta. Credo che anche questo sia importante adesso. Abbiamo bisogno di ogni mezzo per vincere», dice.

Pochi giorni fa Lukashenko aveva dichiarato che il regime non avrebbe fatto più prigionieri ma avrebbe dato la caccia agli oppositori anche qualora si nascondessero in appartamenti privati. E ha aggiunto: «Se qualcuno tocca un mio militare, verrà lasciato come minimo senza mani».

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