Non esiste conflitto al mondo più chiaramente basato sullo scontro tra mappe geografiche di quello che si gioca sulle sabbie di un territorio africano che, a seconda dei punti vista, si chiama Sahara occidentale (la definizione generica), Repubblica democratica araba del Sahrawi (per chi ama gli stati-fantasma e per l’Unione Africana), Rio de Oro (per i nostalgici coloniali e la Spagna) o semplicemente province meridionali (per il Marocco, i suoi alleati e per Donald Trump).

Le mappe rivali al centro dello scontro mostrano tutte una cosa sola: la fascia di 250mila chilometri quadrati di deserto attraversata per secoli dalle carovane che collegavano la leggendaria Timbuctù alla piazza-mercato di Marrakesch, unendo i tesori del sultano Mansa Musa, l’uomo più ricco della storia, ai mercanti berberi.

Divenuto oggi uno dei luoghi meno popolati e produttivi della terra dove diversi indici statistici segnano letteralmente il numero zero. Zero agricoltura, zero industria, zero risorse (con una eccezione di cui si dirà). Tuttavia ciò che differenzia le varie mappe è un interrogativo che sta tornando di attualità: esiste o no una linea dritta e orizzontale che taglia nettamente in due questa oscura fetta di Sahara, andando da Ovest a Est, dalle isole Canarie per intenderci fino a sbattere contro il confine dell’Algeria?

cartografia: Luca Mazzali / faseduestudio / Appears srl)


Non è una diatriba accademica. “Carta canta” e lo sa bene anche chi, per esempio in aeroporto all’arrivo in Marocco, si è visto contestare dai doganieri il possesso di una cartina stradale, o una semplice guida turistica, che quella linea immaginaria la mostra come se fosse un confine di stato. Con minaccia di negare l’ingresso o di decretare l’espulsione dal paese per quella mappa offensiva.

La repubblica del deserto

Perché tante emozioni concentrate su una linea tracciata sul deserto? Partiamo dal punto di vista di chi ricorda che i monarchi marocchini avevano tradizionalmente esteso il proprio potere fino al cuore dell’Africa nera in Mali e Niger. E che quindi questo “scatolone di sabbia” ha sempre fatto parte del Marocco e la suddetta linea orizzontale è una perfida invenzione coloniale.

La Spagna, infatti, aveva occupato i cosiddetti Ro de Oro e Seguia el Hamra – dirimpettai delle Canarie – in un rigurgito imperiale novecentesco, fondando città con nomi tipo Villa Cisneros o Villa Bens. Aveva l’ambizione di farne un’Africa ispanica che iniziava a Ceuta e Melilla e andava giù giù fino al cuore del Continente rivaleggiando con l’Africa francofona (Algeria, Mali e Mauritania).

Peccato di mezzo ci fosse il Marocco, che alla fine dell’epoca coloniale (1975) invece di intavolare incerti negoziati con la Spagna franchista organizzò semplicemente una sorta di marcia su Roma (chiamata però marcia verde) nella quale 300mila e passa coloni marocchini attraversarono letteralmente a piedi quella linea divisoria immaginaria e si insediarono nelle “province meridionali” costruendo mano a mano, sempre più a sud, case, strade e villaggi con ampi sussidi statali. La Spagna saggiamente rinunciò al Sahara e ai negoziati con un rivale così determinato. Sembrava una questione risolta, senonché un misterioso gruppo di guerriglieri iniziò ad attaccare i coloni e soldati marocchini. Erano seguaci di un movimento indipendentista e socialista chiamato Fronte polisario, armato di fatto dall’Algeria (e anche da Gheddafi), che finì per proclamare una Repubblica del Sahara.

Purtroppo per il Marocco, a differenza di tante nazioni che rivendicano sovranità e indipendenza ma restano ignorate dalle cancellerie anche quando vantano solide strutture economiche, bandiere, inni, ministeri ed eserciti, il caso della Repubblica Sarawi è l’opposto: strutture di fatto inesistenti, ma riconoscimenti diplomatici di alto livello, incluso scambio di ambasciatori con 31 nazioni, riconoscimento ufficiale da parte di decine di altri e poltrona d’onore nella Unione Africana, tanto da causare anni di disaccordi tra i Marocco e il resto del Continente. Una realtà, quella della repubblica del deserto, tutta gestita ufficialmente dalla “capitale” Tindouf, un campo-profughi che ironicamente è in territorio straniero (Algeria).

Boicottare il Qatar

Il Marocco, tuttavia, ha preso il tutto senza molte ironie. Prima ha occupato militarmente buona parte del territorio, poi ha costruito un gigantesco vallo difensivo – uno dei “muri” divisori meno fotografati del mondo anche se è lungo 2mila chilometri – che teneva fuori i guerriglieri e proteggeva le poche oasi abitabili.

Nel 1991 il Marocco ha firmato un armistizio con il Polisario e ha chiesto all’Onu di mandare una missione per monitorare la tregua e organizzare un referendum sull’indipendenza (o meno) della regione. Il referendum non è mai avvenuto perché non esiste un accordo su chi ha diritto al voto: se votassero i coloni portati dal Nord, il Sahara occidentale sarebbe solo una roccaforte marocchina. In compenso, gli elicotteri e gli osservatori dell’Onu (tra i quali ci sono anche cinque ufficiali italiani che dormono in tende spartane e collezionano scorpioni) sono lì da tre decenni al costo di 50 milioni di dollari all’anno.

In una situazione congelata, ogni tanto il Marocco spinge l’acceleratore: recentemente ha ottenuto che diversi paesi arabi e del Golfo aprissero addirittura uffici consolari nel Sahara Occidentale accreditati presso il Marocco, quindi riconoscendone di fatto la sovranità. Un favore che sauditi ed emiratini hanno concesso in cambio dell’appoggio marocchino al boicottaggio del Qatar, in quel grande “gioco” che ha coinvolto in un souk di concessioni reciproche buona parte del mondo islamico.

Una questione di interessi

Come sempre, non mancano gli interessi economici: la principale miniera di fosfati al mondo, 250 chilometri quadrati a cielo aperto, è proprio qui, collegata al mare con un nastro trasportatore di 100 chilometri (il più lungo al mondo). La controlla il Marocco. Ma il conflitto si nutre soprattutto di ripicche, simbolismi e rivalità regionali (come quella storica tra Marocco e Algeria).

Recentemente i fuochi dell’ostilità si sono riaccesi: il mediatore Onu, l’ex presidente tedesco Horst Köhler, si è dimesso per ragioni di salute, ma il Marocco ha messo il veto su vari candidati proposti dall’Onu a succedergli. Quasi per risposta, i guerriglieri sahrawi si sono rifatti vivi dopo anni di silenzio e hanno occupato per tre settimane l’autostrada che unisce il Marocco alla Mauritania, nel territorio neutro pattugliato dall’Onu. Il Marocco li ha dovuti far sloggiare a cannonate. Poco dopo un Donald Trump in uscita dalla Casa Bianca ha trovato il tempo di riconoscere ufficialmente la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale (come richiestogli dagli alleati sauditi).

Ma il Consiglio di sicurezza dell’Onu, che dibatte anche i casi più oscuri, su questo conflitto non si è mai espresso chiaramente. E mentre questa guerra si trascina a bassa intensità, la gioventù sahrawi, che bolle e spreca tempo nei campi profughi, chiede alla propria leadership di togliersi la cravatta e indossare di nuovo la divisa mimetica invece di frequentare comode conferenze internazionali. Non aiuta che il presidente della Repubblica ed ex ambasciatore del Polisario in Algeria sia Brahi Gali, personaggio della vecchia scuola e per di più accusato dalla giustizia spagnola di aver partecipato in casi di tortura, stupro e repressione di giovani rifugiati sahrawi nei campi profughi gestiti dall’organizzazione.

Nelle more del processo, tuttavia, Gali (che parla uno spagnolo perfetto) è stato accolto dalla Spagna con gli onori, consentendogli il ricovero in ospedale per guarire dal Covid. Gesto “umanitario” che ha irritato molto il Marocco, che ha risposto inondando le spiagge di Ceuta e Melilla (entrambe enclave spagnole in Marocco) di profughi ed emigranti. Le scene di disperazione servivano a ricordare al governo di Madrid e all’opinione pubblica spagnola, che spesso ama l’idea romantica dei guerriglieri sahrawi, un concetto di realpolitik: è meglio tenersi buono il Marocco, che quando vuole controlla e limita i flussi migratori verso il Mediterraneo, piuttosto che il leader controverso di una repubblica ancora più controversa. La soluzione non è vicina. Quella riga dritta nel deserto è difficile da cancellare.

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