Il conflitto tra i social e i governi nazionali è giunto al suo ennesimo episodio. Twitter ha eliminato un tweet dell’ambasciata cinese negli Stati Uniti che difendeva le azioni del regime di Pechino nella regioni dello Xinjiang. Da tempo il governo del presidente Xi Jinping è accusato di reprimere con la forza gli uiguri, la minoranza etnica di fede mussulmana che abita la regione. Nello specifico il tweet censurato riportava uno studio pubblicato sul giornale filo cinese ChinaDaily secondo cui le donne uigure non erano più «macchina sfornatrici di bambini».  Dopo la pubblicazione del messaggio, Twitter ha sospeso l’account dell’ambasciata.

«Il genocidio cinese»

La decisione di Twitter è arrivata dopo che il 19 gennaio l’ex segretario di Stato americano, Mike Pompeo ha accusato pubblicamente la Cina di avere commesso un genocidio nei confronti degli uiguri. Gli Stati Uniti sono il primo paese al mondo a riconoscere come genocidio la repressione cinese nello Xinjiang. Anche il neo presidente americano, Joe Biden aveva fatto sapere durante la campagna elettorale di ritenere che quello commesso nella regione cinese.

Una guerra continua

Non è la prima volta che i social intervengono a gamba tesa in questioni politiche delicate. La decisione di Twitter e Facebook di oscurare i profili dell’ex presidente americano Donald Trump dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio, ha scatenato le proteste anche di leader non vicini alle posizioni del leader sovranista come  la cancelliera Angela Merkel. Inoltre recentemente Facebook è anche intervenuto nelle elezioni presidenziali in Uganda censurando gli account di diversi membri del governo accusati di diffondere fake news elettorali.

L’esecutivo ugandese aveva poi chiuso temporaneamente tutte le piattaforme social del paese in vista delle elezioni del 14 gennaio. Di fronte alle intromissioni dei social nella vita politica ci sono governi che hanno provato invece a ribaltare la situazione. La Turchia ha approvato a luglio una legge che obbliga le piattaforme digitali a nominare un responsabile governativo al loro interno. Dopo un’iniziale resistenza, Facebook, Google  Youtube hanno capitola accettando di implementare la nuova norma mentre Twitter ha per ora deciso di rifiutare di seguire la misura.

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