Come potrei dimenticare il momento che ha cambiato le nostre vite? La città veniva costantemente bombardata dall’aviazione turca», racconta Yiannis Toumazis, sessantunenne greco-cipriota e direttore del Centro artistico municipale di Nicosia. Dalla capitale rievoca per Domani la sua fuga nel 1974 da Varosha, il quartiere conteso di Famagosta che ora – dopo oltre 40 anni di occupazione militare di Ankara – il presidente turco Tayyp Erdogan e i turco-ciprioti vogliono riaprire, sconvolgendo i delicati equilibri politici dell’isola divisa. Durissima la condanna sia del leader greco-cipriota sia della comunità internazionale, la scorsa settimana.

Dice l’allora profugo Toumazis: «Mi ricordo che ci eravamo rifugiati fra gli alberi di arance di mia nonna e provavamo a scavare delle fosse nel terreno per proteggerci. Vermi e formiche si arrampicavano sui nostri corpi. Ce ne siamo andati senza niente, 47 anni dopo non riesco ancora a dimenticare». Durante la guerra che i turchi hanno battezzato “operazione di pace”, con cui volevano scongiurare un’annessione di Cipro da parte di Atene, circa 200mila greco-ciprioti lasciarono la parte nord dell’isola per riparare verso la Repubblica di Cipro a maggioranza greca (25mila turco ciprioti fecero il percorso inverso, aggiungendosi a quanti erano scappati nel 1963).

Varosha, che fino a quell’anno godeva della fama di “Cannes del Mediterraneo orientale” per le sue spiagge dall’acqua cristallina, la sua vita notturna glamour e ristoranti frequentati dalle stelle del jet set dell’epoca, da allora è rimasta una città fantasma. Chiusa al pubblico e circondata dalle torrette militari dei soldati turchi, i suoi palazzi sono caduti in rovina. Le strade accanto agli alberghi con la vista sul mare, dove Elizabeth Taylor e Brigitte Bardot amavano passare le loro vacanze, sono invase da una vegetazione spontanea fuori controllo. «Abbiamo sperato tante volte di poter tornare», racconta Toumazis, «si scherza dicendo che ogni volta che i negoziati fra greci e turco-ciprioti facevano progressi, noi facevamo le valigie. Il fatto che i turchi lasciassero le case vuote ci dava speranza, come pure tutte quelle risoluzioni Onu (secondo cui le case andrebbero restituite ai loro abitanti e il quartiere dovrebbe essere amministrato dalle Nazioni unite)».

Turchizzazione dell’isola

Ora le cose stanno cambiando. Dopo decenni di tentativi fallimentari da parte delle Nazioni unite di creare uno stato unico federato fra la regione greca e quella a maggioranza turca, ad oggi riconosciuta soltanto da Ankara, la leadership turco-cipriota spalleggiata da Erdogan ha virato decisamente nella direzione della soluzione a due stati. Ecco allora che asserire la propria sovranità su Varosha non è più tabù per i nazionalisti turco ciprioti. «A Maraş inizierà una nuova epoca», ha annunciato Erdogan utilizzando il nome turco della cittadina durante una visita a Cipro la scorsa settimana, proprio per l’anniversario dell’intervento turco del 1974. «E sarà meglio per tutti».

Isabelle Ioannides, esperta di punta di Eliamep, un think-tank di politica europea e internazionale greco, aveva un mese d’età quando l’esercito turco invase la sua Cipro nel 1974. «Mio zio possedeva un hotel a Varosha», racconta a Domani, «ma non nella parte che è rimasta chiusa, e dunque venne espropriato». I segnali di un cambiamento si avvertivano già prima dell’annuncio delle autorità turche e turco-cipriote dell’imminente conversione di una zona di 3,5 km quadrati da statuto militare a statuto civile, dice. «La famosa spiaggia è stata riaperta già lo scorso autunno, alcune strade e strutture stanno venendo rinnovate. E prima della visita di Erdogan le scritte in greco sulla facciata del vecchio liceo sono state rimosse, e hanno messo le loro bandiere. Tutto in linea con il processo di turchizzazione e divisione dell’isola».

Giochi politici

La visita di Erdogan non è stata comunque ben accolta da tutti i turco ciprioti. «È importante notare che i partiti di opposizione hanno boicottato il discorso del presidente turco», sottolinea Ioannides. «C’è un forte dissenso interno nei confronti del presidente filo-turco Ersin Tatar, che ha vinto per pochi voti lo scorso anno». Quanto alle case di Varosha, il leader turco e quello turco-cipriota hanno fatto appello ai vecchi proprietari affinché si rivolgano alla «Immovable Property Commission» (Ipc), un comitato istituito nel 2005 dopo il fallimento del piano di pace Annan su invito della Corte europea dei diritti dell’uomo, proprio per gestire le richieste di restituzione.

Da parte sua la presidenza turco cipriota ha definito il comunicato del consiglio di Sicurezza Onu come «irrilevante» e addirittura «un tentativo di ostruire la restituzione delle proprietà di Varosha a coloro che le richiedono».

Queste persone ora si trovano in balia di «grandi giochi politici», dice l’attivista turco-cipriota Kemal Baykalli, uno dei fondatori del movimento per una Cipro unificata UniteCyprusNow. Il governo della Repubblica di Cipro gli chiede di non rivolgersi al comitato, che è controllato dai turchi, perché ciò implicherebbe un riconoscimento implicito della sua legittimità. Dall’altra parte però questa è l’unica soluzione per ottenere almeno una compensazione economica. «Nessuno ha diritto di giudicarli», dice Baykalli, che sottolinea anche come l’ultimo negoziato per la federazione sia stato interrotto, nel 2017, per volontà della presidenza greco-cipriota.

Malgrado i proclami turchi secondo cui diversi paesi amici, come Azerbaijan o Qatar, si appresterebbero a riconoscerla, la Repubblica turca di Cipro al momento rimane un pària a livello internazionale. Ciò significa che qualsiasi volo in partenza dall’aeroporto di internazionale di Ercan, a est di Lefkoşa – la zona turca della capitale cipriota Nicosia, anch’essa tagliata a metà da una linea di confine – deve transitare dalla Turchia prima di poter raggiungere qualsiasi destinazione internazionale. Significa che chiunque indirizzi una lettera o un pacco a Cipro del Nord, deve indicare “Mersin”, località nella Turchia meridionale, e solo in un secondo momento il reale indirizzo di destinazione. E che chi entrasse nella parte turca dall’estero per poi spostarsi nella zona greca – tramite valichi che quest’ultima considera puramente amministrativi – potrebbe vedersi contestato un ingresso illegale nel paese. Anche l’economia della Repubblica turca di Cipro del Nord vive un isolamento internazionale.

Sentirsi invasi

Una situazione che spiega lo strapotere turco nel nord dell’isola, che tecnicamente sarebbe uno stato a sé. E che lega a doppio filo le politiche di Erdogan a Cipro alle dinamiche politiche interne alla Turchia, spiega Dimitrios Triantaphyllou, cinquantacinquenne professore greco che insegna dal 2010 relazioni internazionali all’Università Kadir Has di Istanbul. «In Turchia al momento siamo in un periodo di prolungata campagna elettorale», racconta. «Erdogan è in difficoltà nei sondaggi a causa della situazione economica e fra meno di due anni, nel 2023, lo aspetta l’elezione più importante, nell’anno del centenario dalla fondazione della repubblica», dice. Il presidente turco fa la voce grossa anche per cercare di ottenere una posizione di forza nella partita energetica che si gioca al largo della costa cipriota, per i giacimenti di gas naturale del Mediterraneo orientale.

«La questione di Cipro unisce tutta la popolazione, e l’internazionalismo è storicamente un modo per acquisire sostegno elettorale in Turchia», continua Triantaphyllou. Parallelamente, però, a Cipro del Nord cresce l’intolleranza verso le ingerenze di Ankara. «Leader dell’opposizione come Mustafa Akıncı (il premier uscente che ha avuto scontri con Erdogan durante tutta la durata del suo mandato) accusano Ankara di comportarsi come una potenza coloniale, e vedono di cattivo occhio l’arrivo di sempre più coloni turchi», racconta. «Per non parlare del fatto che moltissimi turco-ciprioti sono tradizionalmente laici, e mal sopportano l’Islam politico proposto da Erdogan».

Tutti i turco-ciprioti che si trovavano nell’isola prima del 1974, a oggi hanno diritto a ottenere un passaporto della Repubblica di Cipro, che continua a considerarli abitanti del proprio territorio. Un diritto di cui approfitta, per i viaggi internazionali, lo stesso Tatar (ora il presidente cipriota Nicos Anastasiades minaccia di levarglielo e imporre sanzioni a tutti gli ufficiali coinvolti nel caso di Varosha), ma che non riguarda invece tutti i turchi arrivati dopo la guerra. Un fattore che complica ulteriormente il mosaico socio-demografico dell’isola, su cui vivono anche tanti maroniti ed armeni, oltre che libanesi fuggiti dal vicino paese dei cedri durante la loro guerra civile fra gli anni Settanta e Novanta.

Yannis Toumazis, il rifugiato di Varosha che ad oggi non ha fatto richiesta di riparazioni al comitato turco-cipriota, dice che la cittadina «potrebbe essere un perfetto esempio di una città nuovamente unita, un modello per una coabitazione pacifica in una Cipro federale». Una soluzione di questo tipo era stata votata dalla maggioranza degli abitanti della parte turca nel referendum promosso dall’Onu nel 2004, ma bocciata dai greco-ciprioti, che furono ammessi nell’Unione europea una settimana più tardi. «Io continuo a sostenere questa soluzione», conclude Toumazis, «le nostre “madrepatrie” Grecia e Turchia ci hanno già fatto soffrire abbastanza».

 

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