Il Venezuela ha eletto domenica 24 governatori, 285 deputati dell'Assemblea nazionale e 260 legislatori statali. Nonostante gli arresti denunciati dall’opposizione, ai seggi si è votato, come sempre accade in questo paese, in pace. La partecipazione, il singolo dato più importante, varia tra il 15 per cento secondo María Corina Machado, e il dato ufficiale del 42,6 per cento.

Il Partito socialista unitario del Venezuela rivendica di avere ottenuto l’82 per cento dei voti. Dice Nicolás Maduro: «Ce l'abbiamo fatta. Abbiamo tenuto le elezioni senza incidenti e abbiamo sconfitto la violenza che i “terroristi” avevano pianificato per il paese». Con quattro quinti dell’Assemblea Nazionale il Psuv potrà procedere alla riforma, da tempo auspicata da Maduro, del sistema elettorale e di tutta l’architettura istituzionale, che, lasciando fuori il senso del conflitto politico con le opposizioni, e delle accuse di autoritarismo, dovrebbe rafforzare quella che si definisce una «democrazia diretta e partecipativa».

Inoltre il Psuv ha vinto 23 dei 24 governatorati (più tre rispetto al 2020), tra cui il nuovo Stato della Guayana Esequiba. Si tratta di un territorio che il Venezuela rivendica come proprio da circa un secolo. È una selva enorme, grande come mezza Italia, popolata da appena 150 mila persone, ricchissima di risorse e idrocarburi.

L’elezione per la prima volta di un governatore – Neil Villamizar, un ammiraglio in pensione – in quello che Caracas considera il ventiquattresimo stato della federazione, è una potente accelerazione di un conflitto in divenire, e che Maduro alimenta: «Prima o poi, il presidente della Guyana, Irfaan Ali, dipendente della ExxonMobil, dovrà sedersi al tavolo con me e accettare la sovranità del Venezuela».

Questa, secondo Caracas, dovrebbe passare attraverso l’accettazione da parte di Georgetown di un referendum, che decurterebbe la Guyana di tre quarti del proprio territorio.

Chi boicotta e chi vota

La nuova Assemblea nazionale merita di ricordare gli antefatti in un paese che, dal 2017 al 2021, è andato a rotoli tra iperinflazione, povertà ed emigrazione di massa. Le elezioni del 2015 avevano visto una netta affermazione dell’opposizione unita nel Mud (Tavola di unità Democratica), riconosciuta dal chavismo. Si erano così create le condizioni per l’esperienza del presidente interino Juan Guaidó da parte del primo governo Trump e dell’Organizzazione degli Stati Americani, riconosciuto da buona parte dell’Unione europea, ma non dall’Italia.

Oggi Juan Guaidó e molti dei suoi vivono negli Usa godendosi i milioni sottratti al tesoro venezuelano. Quel fallimento portò al boicottaggio del voto nel 2020 da parte dell’opposizione, con la netta vittoria del Psuv, confermata dal voto di domenica.

Il fatto politico sostanziale di queste elezioni è allora che l'opposizione, a dieci mesi dalla vittoria elettorale negata a Edmundo González, si ritrova divisa tra un'ala estremista e quella moderata. María Corina Machado, considerata leader di tutti, ha scelto il "boicottaggio di massa" delle elezioni. Per lei e per González il rispetto del voto del 28 luglio resta centrale nel sedimentarne la leadership e oggi rivendica l’85 per cento di astensione. Scelta disapprovata dai “moderati” dell’opposizione, tra i quali spicca Henrique Capriles Radonski: «Diamo loro [il Psuv] semplicemente carta bianca, o lotteremo per impedire che venga imposta qui una Costituzione in stile cubano?».

Capriles o Machado?

La lista di Capriles, battuto alle presidenziali da Hugo Chávez nel 2012, ha superato il 5 per cento e siederà così nel nuovo parlamento, dove le opposizioni sfioreranno un quinto dei seggi. Inoltre, è riconfermato governatore dello Stato Cojedes, Alberto Galindez, della stessa area politica di Capriles, eletto all’Assemblea nazionale. E sarà quest’ultimo, non María Corina Machado, il dirigente oppositore che in aula e sui media discuterà col Psuv e criticherà Maduro sul governo e sulla riforma costituzionale.

Il madurismo è debole, con un consenso reale sempre più limitato (altra cosa è il consenso millantato), e avvolto in una spirale autoritaria, anche se non sembra dover temere troppo dall’estero. Soprattutto nell’opposizione, sia chi ha partecipato sia chi ha boicottato, sembra lavorare per il baffuto Re di Prussia che siede indisturbato a Miraflores.

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