Durante il vertice di Madrid (28-30 giugno) la Nato ha varato lo “Strategic concept”, le linee guida dell’azione politica e militare dell’Alleanza atlantica per il prossimo decennio. A restituire centralità all’alleanza fondata nel 1949 per contenere l’Unione sovietica è stata la Russia di Putin, con l’invasione dell’Ucraina, ma un’importante novità del summit spagnolo è stato l’ingresso della Cina nel documento strategico, che, al punto 13, recita:

Le ambizioni dichiarate e le politiche coercitive della Repubblica popolare cinese (Rpc) sfidano i nostri interessi, la nostra sicurezza e i nostri valori. La Rpc utilizza un’ampia gamma di strumenti politici, economici e militari per aumentare la sua influenza globale e proiezione di potenza, pur rimanendo opaca sulla sua strategia, intenzioni e crescita militare. Le operazioni ibride e informatiche dannose della Rpc, la sua retorica conflittuale e la disinformazione prendono di mira gli alleati e danneggiano la sicurezza dell’Alleanza. La Rpc cerca di controllare settori tecnologici e industriali chiave, infrastrutture critiche, materiali strategici e catene di approvvigionamento. Usa lo strumento dell’economia per creare dipendenze strategiche e aumentare la sua influenza. Si sforza di sovvertire l’ordine internazionale basato su regole, anche in ambito spaziale, cibernetico e marittimo. L’approfondimento della partnership strategica tra la Repubblica popolare cinese e la Federazione russa e i loro tentativi che si rafforzano a vicenda per minare l’ordine internazionale basato sulle regole sono contrari ai nostri valori e interessi.

Dunque la Cina rappresenta una “sfida” per la Nato, dopo essere stata bollata come “rivale strategico” e “potenza revisionista” nella strategia di sicurezza nazionale di Trump nel 2017; definita “rivale sistemico” dalla Commissione europea nel 2019; dopo che «il partito comunista cinese è diventato più repressivo in patria e più aggressivo all’estero» secondo l’approccio dell’amministrazione Biden alla Cina pubblicato il 26 maggio scorso; mentre il comunicato dell’ultimo vertice del G7 in Germania (26-28 giugno) ha attaccato la Cina su più fronti.

La storia si è messa a correre molto rapidamente, forse più della nostra capacità d’interpretarla, tanto che non abbiamo ancora trovato una definizione migliore di “nuova Guerra fredda” per una contrapposizione post-ideologica che ha poco in comune con quella tra Stati Uniti e Unione sovietica. Sta di fatto che la Cina e l’occidente, ormai da qualche tempo, non dialogano più, ma si accusano reciprocamente e pericolosamente.

Pechino guarda con particolare attenzione alle mosse del Giappone e della Corea del sud, che hanno partecipato al summit spagnolo assieme ad Australia e Nuova Zelanda, come “paesi partner”. Seoul sarebbe pronta a istituire un ufficio presso la Nato a Bruxelles e a iniziare un nuovo programma di cooperazione con l’Alleanza. Mentre il premier nipponico, Fumio Kishida, ha invitato a formare un fronte unito per evitare che altri paesi «traggano lezioni sbagliate» dalla crisi ucraina.

Non c’è dubbio che, oltre alla pandemia, l’alleanza di fatto di Pechino con Mosca ha accelerato la tendenza nelle élite politiche e intellettuali occidentali (il discorso sarebbe diverso per quelle economiche) a vedere sempre più come una minaccia il gigante asiatico che è stato al centro della mondializzazione negli ultimi tre decenni, con il “ruolo” di fabbrica del mondo e motore del commercio globale e che ora punta al catch-up, a raggiungere le economie avanzate.

Tuttavia questa contrapposizione non potrà che generare una forza uguale e contraria da parte della Cina, perché il partito comunista e la popolazione cinese nella loro attitudine verso l’occidente sono fortemente influenzati dal “secolo dell’umiliazione” coloniale (1839-1949), quando un paese che fino ad allora si era ritenuto il centro del mondo venne smembrato, saccheggiato e stuprato dalle potenze imperialiste di allora, occidentali e nipponiche.

Insomma se la strada scelta dalle principali istituzioni che rappresentano gli interessi dei paesi avanzati è quella di una contrapposizione con la Cina, la Cina si prepara a rendere pan per focaccia, col nazionalismo e l’aumento continuo delle spese militari. Mala tempora currunt sed peiora parantur.

Il 76 per cento dei giovani africani considera positiva l’influenza di Pechino

Mentre le relazioni con l’occidente si fanno sempre più difficili, è nel sud del mondo che Pechino sta raccogliendo i frutti della sua diplomazia fatta soprattutto di relazioni economico-commerciali. L’ultima conferma – dopo il recente vertice dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) ai quali hanno chiesto di aderire Argentina e Iran – arriva dallo “African Youth Survey 2022” condotto dalla Ichikowitz Family Foundation. Secondo questo studio, infatti, non soltanto il 77 per cento dei giovani africani considera la Cina il paese straniero con il maggior peso sul continente nero, ma il 76 valuta questa influenza positivamente.

  • Perché è importante

Per quanto riguarda le grandi opere (strade, porti, ferrovie, telecomunicazioni), secondo i dati ufficiali di Pechino dal Duemila le compagnie di stato cinesi hanno costruito 100mila chilometri di autostrade e 10mila chilometri di ferrovie (come quella che, in Kenya, collega la capitale Nairobi al porto Mombasa), infrastrutture essenziali per lo sviluppo economico locale. Ma gli investimenti finiti sotto il brand della nuova via della Seta sono anche produttivi. Ad esempio il marchio Tecno (della cinese Transsion) domina il mercato locale (47,9 per cento nel quarto trimestre 2021) con i suoi smartphone assemblati da manodopera locale.

  • Il contesto

Secondo lo studio della Ichikowitz Family Foundation, nel 2030 circa il 42 per cento dei giovani del mondo risiederà in Africa. Mentre aumentano le università occidentali (l’ultima Helsinki, il 18 giugno scorso) che chiudono gli istituti Confucio, accusati di diffondere la propaganda del governo di Pechino (negli Stati Uniti ne sono rimasti 18, nell’Unione europea 190), gli atenei della Repubblica popolare cinese accolgono sempre più studenti africani. Secondo i dati pre-pandemia diffusi dal ministero dell’Istruzione cinese, più di 81mila studenti africani hanno studiato in Cina nel 2018, rappresentando il 16,5 per cento degli studenti stranieri del paese.

Yuan, di Lorenzo Riccardi

L’Area della Grande baia cresce col porto di Nansha

L’Area della Grande baia, il progetto economico di integrazione tra la parte meridionale della Cina continentale e le regioni ad amministrazione speciale di Macao e Hong Kong, inaugura una nuova fase di espansione nel suo ruolo di hub della logistica globale.

Il porto di Nansha, situato nella città di Guangzhou (Canton), è uno dei principali centri per il commercio e l’esportazione nella Cina meridionale. Nansha è la maggiore area portuale della città, parte dell’area di libero scambio del Guangdong e gestisce oltre il 70 per cento del traffico marittimo della regione.

A giugno 2022 sono stati completati alcuni lavori di ampliamento che hanno potenziato l’utilizzo del porto, che ora dispone di ormeggi da oltre 100mila tonnellate, ed è attrezzato per ospitare chiatte e imbarcazioni da lavoro. Grazie a questa espansione, il porto sarà in grado di gestire oltre i 24 milioni di TEU, collocandosi tra i principali porti al mondo per volume di container movimentati.

Le autorità portuali hanno implementato nuove tecnologie per una gestione più efficiente e rapida dei container: da aprile il porto sta testando sistemi smart per servire le più grandi navi portacontainer, con gru di banchina e veicoli intelligenti a conduzione autonoma per la movimentazione delle merci. L’innovazione, l’intelligenza artificiale e i sistemi automatizzati, insieme alla tecnologia 5G, sono stati introdotti per rendere più rapida ogni fase del processo di sdoganamento, con l’uso di robot per l’ispezione e il monitoraggio del flusso dei container.

L’ampliamento e l’automatizzazione del porto serviranno per accelerare l’integrazione del sistema logistico dell’intera Area della Grande baia e la realizzazione di un polo commerciale e marittimo di livello mondiale. Il consiglio di Stato cinese ha annunciato un master plan finalizzato a trasformare l’area di Nansha, con iniziale implementazione nelle aree costiere di Nansha Bay, Qingsheng Center e Nansha Center, al fine di attrarre nuovi investimenti high tech e nella ricerca. L’obiettivo è allargare a tutta la macro-regione che include la provincia del Guangdong, Hong Kong e Macao il ruolo – che un tempo era peculiare di Hong Kong – di gate commerciale tra la Cina e il resto del mondo.

Dimezzata la quarantena per chi arriva dall’estero

Sette giorni d’isolamento (invece di 14) in una struttura governativa, più 3 (invece di una settimana) di clausura domiciliare. Le nuove disposizioni approvate martedì 28 giugno dal ministero della Sanità di Pechino dimezzano la durata della quarantena per chi arriva in Cina dall’estero – unitamente all’annuncio di diverse compagnie aeree del ripristino di voli da e per la Repubblica popolare cinese – puntano a una parziale riapertura del paese.

  • Perché è importante

Quello varato dal governo è il cambiamento più significativo della politica “contagi zero” dal marzo 2020, da quando il gigante asiatico ha sigillato le frontiere per prevenire l’“importazione” di casi di SARS-CoV-2. Secondo Wang Liping – ricercatrice del Centro di prevenzione e controllo delle malattie – la linea del governo resta invariata, in quanto le nuove disposizioni rappresentano una «ottimizzazione delle misure di prevenzione e controllo basate sulle caratteristiche epidemiologiche della variante Omicron che non aumenterà il rischio di trasmissione». A fronte della riduzione della durata della quarantena verrà aumentata la frequenza dei tamponi a cui dovrà sottoporsi chi arriva dall’estero e il personale dei trasporti che entra in contatto con i passeggeri in ingresso.

  • Il contesto

Il presidente della camera di commercio dell’Unione europea in Cina, Joerg Wuttke, ha stimato che, a causa dei «tassi di vaccinazione relativamente bassi, soprattutto tra gli ultra-sessantenni, e della lenta introduzione dei vaccini mRNA, la Cina potrebbe mantenere politiche d’immigrazione restrittive oltre l’estate 2023».

Intanto si fanno i conti delle ripercussioni finanziarie della politica “contagi zero”. Secondo una ricerca di China Merchant Securities, il lockdown di Shanghai potrebbe causare una perdita di prodotto interno lordo di 1.000 miliardi di yuan (149 miliardi di dollari) mentre i tamponi di massa a cui – tra il 6 aprile e il 5 giugno scorso – si è sottoposta la popolazione della metropoli meridionale di Shenzhen, sono costati 3,16 miliardi di yuan (471 milioni di dollari). I tamponi a ripetizione gratuiti per tutti – che la leadership cinese considera come l’unica alternativa ai lockdown – stanno sottoponendo a un forte stress le finanze dei governi locali che sentono la pressione di Pechino per scongiurare l’esplosione di focolai. Ad esempio Shanghai, uscita il 1° giugno da un lungo lockdown, andrà avanti con i test di massa almeno fino alla fine del mese prossimo.

Consigli di lettura della settimana:

Per questa settimana è tutto. Per osservazioni, critiche e suggerimenti potete scrivermi a: exdir@cscc.it

Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani, e vi dà appuntamento a giovedì prossimo.

A presto!

Michelangelo Cocco @classcharacters

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