Il prossimo 15 agosto, Donald Trump e Vladimir Putin si incontreranno in Alaska, in quel punto sul mappamondo in cui Russia e America si sfiorano. Le coste più nordiche della Federazione sono distanti solo 88 km da quelle dello stato più settentrionale degli Stati Uniti, e, per il consigliere del Cremlino, Yuri Ushakov, la scelta del luogo è «piuttosto logica». Il capo negoziatore russo Kirill Dmitriev però avverte: «Diversi paesi interessati a proseguire il conflitto faranno sforzi titanici per far saltare l’incontro». Tra Trump e Putin sarà un tango a due, senza tre: il leader ucraino non è ancora invitato e se giungerà lo farà solo dopo.

«Credo che Putin voglia vedere la pace, e anche Zelensky vuole vedere la pace». Trump ha parlato di “swapping”, scambio di territori per un accordo di pace: «Ne recupereremo alcuni, ne scambieremo altri. Ci saranno alcuni scambi di territori per il bene di entrambi».

I dubbi di Zelensky

In questa accelerazione precipitosa dei negoziati, per mancanza di informazioni definitive e abbondanza di indiscrezioni non confermate, tutto può essere non del tutto vero o in parte falso, ma, secondo quanto trapelato del piano, verrebbero concesse alla Russia le regioni di Donetsk e Luhansk, si congelerebbe invece la presenza di Mosca lungo le linee attuali nelle aree di Zaporizhzhia e Kherson. Prova della credibilità di questo patto, secondo analisti sintonizzati alle antenne del potere russo, sarebbe anche il numero di colloqui telefonici che Putin ha avuto con gli omologhi alleati in Kazakistan, Uzbekistan e Bielorussia nelle ultime ore.

La pace di cui parla Trump probabilmente non è la stessa che dall’inizio di questa guerra viene accompagnata sempre da due aggettivi: «Giusta e duratura». Sono gli stessi che ha usato ieri il presidente ucraino che ha fatto sapere, prima perentorio, poi lapidario: «Non regaleremo territori agli occupanti», «qualsiasi decisione contro di noi, o senza di noi, è una decisione contro la pace». Senza l’Ucraina al tavolo si prenderanno «decisioni nate morte».

La notizia del summit ha reso Kiev afflitta, incupita e nervosa. «Non vediamo cambiamenti nella posizione della Russia». Mentre i vertici fremono, gli attacchi sul campo si intensificano: piovono bombe russe su Kherson; l’esercito di Mosca avanza e quello ucraino perde terra soprattutto a Pokrovsk. L’idea della cessione di territori avrà conseguenze che garantiranno «posizioni più favorevoli alla Russia per riprendere la guerra», ha chiosato Yermak, braccio destro di Zelensky.

La posizione degli europei

È la posizione ribadita durante l’incontro tenuto di sabato 9 agosto a Londra tra i funzionari europei e ucraini che temono che, senza Ue e Kiev al tavolo, l’accordo tra i due presidenti di Mosca e Washington potrebbe slittare solo in favore del Cremlino. Al vertice britannico era presente il vicepresidente Vance, con il segretario Rubio in videocollegamento e gli inviati speciali di Trump, a cui l’Ue, secondo il Wall Street Journal, ha presentato una controproposta: prima la tregua sul campo, solo dopo uno scambio di territori.

Ma c’è troppa confusione sotto il cielo, e tutto potrebbe essere basato solo su un equivoco, una lost in translation, se è vero ciò che riferisce Bild. Per il quotidiano tedesco, l’inviato speciale Usa Witkoff non ha capito il messaggio di Putin durante il loro ultimo colloquio: non ci sarebbe nessuna offerta di ritiro delle truppe del Cremlino, che non retrocede dalla sua posizione, come il suo esercito non lo farà dal fronte sud di Kherson e Zaporizhzhia. L’offerta russa consiste solo nel cessate il fuoco in cambio di tutti e cinque i territori occupati. Se è questa la via scelta da Trump, fanno sapere dall’Ue, è perfino peggiore di quanto precedentemente proposto.

Trump ha annunciato il summit dopo aver benedetto l’accordo di pace trovato tra due paesi in guerra da una quarantina d’anni: Armenia e Azerbaigian. Con un ghigno in volto alla Casa Bianca ha stretto insieme nel suo pugno le mani del presidente azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan: tutti e tre sorridono insieme per la foto storica. Forse il seduttore repubblicano si immagina così il summit che verrà – se mai avverrà – tra russi e ucraini. Ai giornalisti che gli hanno chiesto dettagli del piano per Kiev ha risposto solo che la guerra «potrebbe essere risolta presto».

Vuole concluderla nel ghiaccio d’Alaska, la terra appartenuta all’impero russo prima che lo zar Alessandro II nel 1867 la vendesse agli americani quando il suo regno affondava per aver perso la guerra in una penisola già contesa all’epoca: la Crimea. Ancora di quella, oltre 150 anni dopo, parlerà il presidente americano con quello russo, leader-paria sanzionato dalla comunità internazionale e ricercato dalla Corte dell’Aia. Putin potrebbe rivelare fino a che punto può scendere a patti sull’Ucraina non in un paese terzo, come finora preannunciato, ma in terra statunitense: non ci mette piede dal 2015. Se lo rifarà, sarà per uscire dall’isolamento e per prendersi ufficialmente la stessa penisola.

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