Il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, in un colloquio con la controparte Usa, Antony Blinken, ha sottolineato l’importanza che «i combattimenti si interrompano il prima possibile, tutelando le vite umane ed evitando crisi umanitarie su larga scala».

L’assalto lanciato da Vladimir Putin all’Ucraina è stato il convitato di pietra anche del rapporto – l’equivalente cinese del discorso sullo stato dell’Unione negli Stati Uniti– che il premier Li Keqiang ha letto all’Assemblea nazionale del popolo (Anp). Nell’anno del XX Congresso del partito comunista – ha avvertito il numero due del partito – «il nostro paese incontrerà molti più rischi e sfide». Dunque le mosse della leadership saranno più che mai focalizzate sul mantenimento della stabilità interna.

Il tradimento

Eppure tra gli esperti di Cina negli ultimi giorni si discute d’altro: dell’ipotesi che Putin abbia ingannato i cinesi, sottoscrivendo il 4 febbraio scorso con Xi Jinping un manifesto congiunto anti Usa e anti Nato (che a Pechino serve per le sue rivendicazioni su Taiwan e nel Pacifico) tenendolo all’oscuro del piano contro l’Ucraina o, quantomeno, della sua entità. Ciò spiegherebbe la mancata evacuazione degli studenti cinesi da Kiev prima dell’invasione. Come che sia, Pechino dovrà fronteggiarne le ripercussioni economiche globali, mentre diventerà più difficile bilanciare – al cospetto della comunità internazionale e dell’opinione pubblica interna – la sua quasi-alleanza con la Russia con la sua tradizionale difesa dei princìpi di sovranità e integrità territoriale.

Tra i principali fattori interni di incertezza Li ha citato il Covid-19. Mentre il resto del mondo ha scelto di conviverci, Pechino rimarrà isolata, almeno fino alla chiusura del Congresso, in autunno, nella strategia “contagi zero”, che sta contenendo anche i focolai di Omicron. Il primo vaccino “made in China” con tecnologia mRna è in fase di sperimentazione, quelli in uso sono meno efficaci di quelli occidentali e il sistema sanitario non sarebbe in grado di reggere all’impatto di milioni di contagi. Dunque il costo, economico e sociale, dei continui lockdown è giudicato inferiore allo tsunami previsto in caso di allentamento delle draconiane misure in vigore.

Le spese

La crescita per l’anno incorso sarà «intorno al 5,5 per cento». Un rallentamento (era stato del più 8,1 nel 2021) causato da quella che Li ha definito «tripla pressione»: contrazione della domanda; offerta irregolare; indebolimento delle aspettative. La disoccupazione salirà dal 5,1 per cento dell’anno scorso al 5,5 per cento; l’inflazione dallo 0,9 per cento al 3 per cento. Il deficit è previsto «intorno al 2,8 per cento» del Pil: rilancio dei progetti infrastrutturali e sostegno alle pmi pesantemente colpite dal Covid. Cifre e obiettivi difficili da centrare in una fase in cui, per la prima volta da anni, in Cina (e nelle parole di Li) non regna l’ottimismo. Sulla transizione verde il premier ha invocato «passaggi cauti»: al momento è archiviata.

I mercati della Cina fanno gola, mentre il suo sistema autoritario imperniato sul partito unico esalta lo «spettacolo di democrazia autentica ed efficiente» (copyright dell’agenzia Xinhua) offerto dall’Anp. Gli investimenti esteri diretti in Cina nel 2021 hanno raggiunto il record di 179 miliardi di dollari, eppure Li – diversamente dall’anno scorso – non ha parlato all’Anp di relazioni economiche con gli Usa né con l’Ue.

Continua a salire la spesa militare, più 7,1 per cento (più 6,8 per cento nel 2021). I 237 miliardi di dollari che Pechino impiegherà allo scopo ammontano a un terzo di quanto preventivato dagli Usa, ma modernizzare e armare l’esercito in Cina costa meno e il budget di Pechino è tutt’altro che trasparente. E da tempo Xi esorta l’esercito popolare di liberazione a «prepararsi a combattere e vincere le guerre».

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