In fondo questo folle bipolarismo all’italiana polarizzante di umori, sentimenti, ideologie, i vescovi non l’hanno mai amato.

Per questo la repentina caduta del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, con il ricorso alle elezioni anticipate, è stato giudicato dalla conferenza episcopale come l’ennesima manifestazione di irresponsabilità e di incapacità di badare all’interesse nazionale da parte della classe politica.

Del resto, da quando si è aperta la stagione della seconda Repubblica, la chiesa ha cercato invano di ritrovare un suo “centro di gravità permanente”, per restituire al paese la stabilità perduta. Il cardinale Camillo Ruini ancorò, nel nuovo contesto, la sorte del cattolicesimo italiano ai destini politici del centrodestra, facendo però affidamento sull’attitudine moderatrice di un Pierferdinando Casini e sui tanti ex democristiani imbarcati da Forza Italia.

Ma l’irruenza del leghismo bossiano – le sue invettive contro “i vescovoni” – lo sdoganamento degli ex fascisti e la stessa disinvoltura etica di Silvio Berlusconi, rappresentarono alla lunga contraddizioni troppo grandi da mandare giù.

Nemmeno ha retto la trincea dei valori non negoziabili – la cui difesa era stata appaltata appunto alla destra – in una società che comunque stava mutando anche sotto il profilo del costume e della cultura, dei comportamenti individuali e della morale.

Ne sia riprova la recente presa di posizione del neoeletto presiedente della Cei, l’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi, che ha affermato, in un’intervista a Vanity Fair, di essere disposto a celebrare il funerale di una persona che sceglie il suicidio assistito. Il no irremovibile del cardinale Ruini alle esequie di Piergiorgio Welby sembra oggi lontanissimo.

I cattolici al voto

Il cardinale Camillo Ruini / Foto AGF

In un quadro tanto frastagliato, il mondo cattolico arriva all’appuntamento elettorale in ordine sparso, come avviene ormai da tempo; e se da una parte il progredire del processo di secolarizzazione ha ridotto il peso dei cattolici nella vita pubblica, resta il dato di una presenza diffusa in tanti territori e città con antenne in grado di registrare ancora lo stato di salute del paese.

In questo senso, la presidenza della Cei, lo scorso 22 luglio descriveva senza eufemismi lo stato delle cose: «Dal dopoguerra – si leggeva in una nota dedicata alla crisi – non abbiamo mai vissuto una congiuntura così complessa, a causa dell’inflazione e delle diseguaglianze in aumento, del debito pubblico che ha raggiunto una dimensione enorme, del ritorno a un confronto tra blocchi che assorbe enormi energie e impedisce lo sviluppo, dell’emergenza climatica e ambientale, della difficoltà del mondo del lavoro con la condanna al precariato con il suo carico di fluidità».

Padre Giuseppe Riggio, gesuita, direttore di Aggiornamenti sociali, la rivista della Compagnia di Gesù che segue da vicino la realtà italiana, osserva: «La prima questione fondamentale è riattivare la consapevolezza che apparteniamo a una comunità, rimettere al centro il tema della cittadinanza e il senso di appartenenza, non in una chiave di chiusura però, come fa un certo tipo di populismo che finisce col contrapporre “noi” agli “altri”. Perché la realtà ci ha mostrato chiaramente – dalla pandemia alla guerra – che “noi contro gli altri” non esiste, non regge».

«Ci sono delle dinamiche – aggiunge – che ci vedono tutti coinvolti nella stessa misura, tutti paghiamo le conseguenze di alcune scelte. Questa è una sfida educativa sulla quale siamo in ritardo rispetto ad altri paesi e proprio qui si gioca tanto per il futuro dell’Italia, sia come stato che nelle sue varie articolazioni sociali».

In quanto al cattolicesimo italiano, fin troppo frammentato, «c’è un pluralismo al suo interno che non è negativo, anzi è segno di una vitalità, espressione di una capacità di dare risposte concrete ai problemi». Se però «ci si muovesse sul piano di quella che è una visione d’insieme della società, allora sarebbe più facile poter promuovere delle soluzioni condivise e che possano avere più forza».

Frammentazione

Il mondo associativo resta un riferimento per capire gli umori delle realtà cattoliche; l’Azione cattolica, un tempo grande potenza del laicato impegnato oggi in ripiegamento per numero di iscritti, sta cercando nuove strade dopo il lungo inverno ruiniano e dopo gli anni sonnolenti del post ruinismo.

Giuseppe Notarstefano, presidente dell’Ac, di origine siciliana, spiega: «Io credo che, come cattolici, facciamo molto non solo nell’ambito del volontariato, ma anche nelle comunità locali, penso per esempio a una fitta rete di amministratori, molti dei quali vengono proprio dall’Azione cattolica. E però, non c’è fra di noi la capacità di rappresentare questa ricchezza di esperienze, di pratiche, di contenuti, di valori, in una piattaforma politica. Spesso, diciamo, i cattolici fanno fatica».

«In questo senso – aggiunge – il cardinale Zuppi sta dando il segno di una svolta molto interessante: ci dice infatti che il nostro impegno, soprattutto in questo tempo, deve essere quello di rigenerare la democrazia». Tradotto vuol dire che in vista della scadenza elettorale, «al di là degli schieramenti di parte, il nostro impegno deve concentrarsi nel dare delle ragioni per cui le persone possano partecipare al voto, possano scegliere in maniera informata, documentata, cercando di approfondire, di conoscere le idee e le persone, i soggetti che sono in campo. Forse questo è un compito anche nostro: noi non siamo chiamati ad organizzare il consenso, questo è un obiettivo che riguarda i partiti, ma a formare il consenso sì, quello è uno spazio in cui dobbiamo spenderci di più».

Clima e migranti

Foto AGF

E se da una parte le tensioni internazionali, a cominciare dal conflitto in Ucraina, destano forte allarme, è il rischio che venga meno la coesione sociale del paese la preoccupazione maggiore dell’Azione cattolica: «Per noi c’è innanzitutto il tema dell’inclusione; in primo luogo dal punto di vista del sostegno alle persone che sentono in maniera più forte i morsi della crisi. Ma poi bisogna guardare anche agli investimenti. E qui c’è il tema della transizione ecologica, che per noi significa non soltanto un aggiornamento degli apparati produttivi, si tratta infatti di pensare un cambiamento del modello di sviluppo».

C’è poi il tema dell’immigrazione, con il ritorno puntuale delle strumentalizzazioni elettorali che li presidente dell’Ac non esita a definire “antistoriche”. «In questo momento – aggiunge – il tema dell'accoglienza è uno dei contenuti essenziali delle società moderne, delle democrazie mature. In un tempo in cui la globalizzazione ha incrementato i flussi di mobilità, è chiaro che occorre non solo attrezzarsi per l'accoglienza – e questo chiaramente chiama in causa la politica – ma servono anche politiche pubbliche per favorire l’integrazione, bisogna promuovere una cultura dell'ospitalità. Su questo la chiesa non ha incertezze».

Il partito dei cattolici

Foto AGF

Sulla stessa lunghezza d’onda Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, l’organizzazione da cui proviene l’attuale presidente della Cei, il cardinale Zuppi, nominato nel maggio scorso, considerato più in sintonia con il papa dei suoi predecessori.

«Abbiamo migliaia di immigrati – osserva Impagliazzo – che ancora non sono integrati, sia da un punto di vista giuridico, ma anche e soprattutto sotto il profilo umano»; si tratta di una presenza «che in realtà potrebbe essere una forza per il nostro paese, che andrebbe collocata nel sistema Italia, a partire dalle scuole. Questa per noi resta una priorità».

È urgente, rileva, «semplificare tutto ciò che burocraticamente impedisce l’integrazione, a cominciare dai tempi lunghissimi con cui si ottiene il permesso di soggiorno o la cittadinanza italiana». Inoltre, aprire vie legali per gli ingressi in Italia, resta una priorità per la Comunità di Sant’Egidio già da anni impegnata nello sviluppo dei corridoi umanitari per contrastare i trafficanti e garantire vie d’accesso sicure a chi fugge da guerre e fame.

In quanto alla presenza e alla proposta cattolica sul piano politico, secondo il presidente della Comunità di Sant’Egidio se da una parte non c’è nessuna nostalgia per un “partito dei cattolici”, è vero che questi ultimi «si sono indeboliti, ma non nel senso che non hanno molti parlamentari, non è un problema di potere quello che va posto. È una questione di visione della vita, della società, è la necessità di non rinchiudersi solo nelle proprie comunità ma di lavorare anche a un livello più ampio, diciamo nel sociale, nella vita politica e sociale».

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