Nella guerra tra il ministro Vincenzo Spadafora e il numero uno del Coni, Giovanni Malagò, per la riforma dello sport, si inserisce il dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri.

L'atto firmato da Ermanno De Francisco, capo dipartimento, interviene sullo «schema di testo unico dello sport», ossia il decreto attuativo della legge delega approvata nel 2019. Una riforma cara a Spadafora e che ha aperto una guerra infinita con Giovanni Malagò, al vertice dello sport italiano. L'atto è una sonora bocciatura della linea del ministro a partire dalle linee generali del testo.

«Si rileva che l'articolato presenta, allo stato, numerose criticità redazionali, sia dal punto di vista della chiarezza dei contenuti, sia del linguaggio normativo, già peraltro segnalate nel dettaglio per le vie brevi dallo scrivente Dipartimento, ma che non risultano essere state ancora recepite nello schema in riscontro».

Il documento passa ad evidenziare tutte le criticità presenti nel testo. Il primo punto riguarda l'intero impianto perché lo schema di testo unico sconfina dalla delega «almeno secondo un'interpretazione letterale della disposizione che demanda al legislatore delegato la redazione di un testo unico».

Un testo che necessita, continua il documento, di essere sottoposto al parere obbligatorio del Consiglio di stato. Quando il ministro dello sport, Vincenzo Spadafora, ha presentato il lavoro aveva invitato tutti alla collaborazione perché ci vuole «ambizione e coraggio» ed era pronto a portarlo prossimamente in Consiglio dei ministri. Palazzo Chigi e il suo dipartimento non sembrano apprezzare, suscitano perplessità anche «la mole di nuove competenze che vengono assegnate al dipartimento, quale struttura amministrativa che, da un lato viene legificata, e dall'altro, mostra di tendere a divenire un dicastero a sé, invece di restare una struttura interna alla presidenza del Consiglio dei ministri».

Le bocciature sono molteplici anche in relazione alla ripartizione dei contributi pubblici che sono uno dei punti contesi perché porterebbero ad un parziale svuotamento del Coni.

«Sembra che la previsione di una ripartizione delle risorse in attuazione dei criteri dettati dall'Autorità politica (...) oltrepassi il dettato della norma base che riconosce al solo Coni l'individuazione dei principi generali per la ripartizione di tali risorse, nel silenzio della legge delega», si legge nel parere del dipartimento di palazzo Chigi.

Nell'atto si esprimono rilievi anche su altre materie affrontate dalla riforma a partire dal finanziamento degli enti di promozione sportiva, alle regole in materia di commesse pubbliche e concorrenza, alle modifiche in materia di rapporto di lavoro sportivo fino alle perplessità relative «alla riconducibilità ai principi e criteri direttivi anche per quanto concerne la disciplina dettata in materia di prestazioni sportive amatoriali, volta a sostenere e tutelare il volontariato sportivo».

Tra gli altri aspetti uno riguarda il capitolo 'sicurezza' perché «non è dato riscontrare al suo interno regole in tale materia (…) quanto piuttosto un'organica disciplina in parziale deroga al codice appalti per la progettazione e realizzazione di impianti sportivi che peraltro non denota alcun particolare favor per le tematiche della rigenerazione urbana e modalità green di realizzazione degli interventi».

La nota si chiude evidenziando che i rilievi riguardano il testo inviato il 12 ottobre, ma non l'articolato arrivato, mercoledì scorso, al dipartimento. La riforma dello sport, oltre al no del Coni, aveva già ricevuto le critiche del M5S sull'ipotesi di terzo mandato al presidente uscente Giovanni Malagò. Ora per il ministro Spadafora, che già aveva pensato di rimettere le deleghe allo sport nelle mani del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, arriva una nuova pesante bocciatura.

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