Nel 2012 Mario Draghi ha cambiato le aspettative dei mercati mondiali con una pausa e il giusto tono di voce, quando ha promesso di “fare tutto il necessario” per salvare l’euro con la Banca centrale europea. Molti dimenticano l’espressione che forse Draghi ha usato più di ogni altra nei suoi anni a Francoforte: “Nel rispetto del mandato”.

Perché Draghi ha cambiato lo spirito della Banca centrale europea e la sua filosofia di intervento sul mercato a regole invariate. I trattati sono rimasti uguali, eppure la Bce ha sostenuto alcuni stati (l’Italia) più di altri, ha inventato nuovi modi di agire, è intervenuta per uniformare i rendimenti tra titoli di stato e ha monetizzato il debito, senza mai dichiararlo.

Ora l’ex presidente entra nella politica italiana che è complicata almeno quanto l’eurozona di dieci anni fa, prostrata da un senso di impotenza analogo a quello che dominava le istituzioni europee nel 2011. Superata la crisi finanziaria, grazie anche – e forse soprattutto – alla spinta di Draghi, l’Ue ha poi affrontato la crisi del Covid con un approccio diverso e anche una efficacia maggiore.

Gian Mattia D'Alberto / LaPresse 05-11-2015 Milano cronaca Inaugurazione Anno Accademico Università Cattolica nella foto: Mario Draghi Gian Mattia D'Alberto/LaPresse 05-11-2015 Milan Cattolica University in the picture: Mario Draghi

In Europa Draghi ha ottenuto quei risultati non in virtù di una superiore conoscenza tecnica e scientifica, ma con un approccio molto politico, di costruzione del consenso, di compromesso costante tra interessi diversi da allineare in nome di una visione comune, e di nettezza nelle decisioni.

Per questo entra nella politica italiana da politico, non da tecnico: se Giuseppe Conte ha esordito professandosi notaio di un’alleanza tra forze distinte come Lega e Cinque stelle, Draghi se formerà un governo lo farà senza sottrarsi alle logiche della politica ma nel loro rispetto. E con l’ambizione di controllarle.

Quando Mario Monti si trovò, nel 2011, a guidare un governo tecnico la situazione era molto diversa: il paese era al minimo della credibilità finanziaria e, con un solo anno di legislatura davanti: l’unica strada per il tecnico “salito” in politica era imporre sacrifici nel presente per avere ancora un futuro.

Oggi Draghi è chiamato ad affrontare sfide diverse, che richiedono un’enorme dose di politica, visto che si tratta di costruire il prossimo decennio con il Recovery plan e salvare vite con una gestione più lungimirante della pandemia rispetto a quella del governo Conte che, per un anno, ha ripetuto sempre gli stessi errori. Sono scelte politiche, non in qualche misura obbligate come quelle che aveva dovuto prendere Monti.

Può sembrare un paradosso, ma Draghi ha sempre pensato che la politica dovessero farla i politici. Quando nel 2014 l’allora giovane premier Matteo Renzi gli chiese un consiglio per un ministro dell’Economia, Draghi consigliò di scegliere un politico (all’epoca l’ipotesi era Graziano Delrio).

Negli ultimi anni da presidente della Bce ha sempre chiesto a governi e parlamenti di fare la loro parte, cioè spesa pubblica per investimenti orientati alla crescita, invece che limitarsi a vivacchiare grazie ai rendimenti del debito pubblico tenuti artificialmente bassi da Francoforte.

Qualunque forma prenda, insomma, un governo Draghi sarà un governo molto politico.

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