Dalla piazza di Bologna, dove va in scena da sempre la storia della sinistra e dove questo sabato è partita la serie di mobilitazioni congiunte di Cgil, Cisl e Uil, inizia una sfida cruciale per l’opposizione al governo Meloni. La sfida non è solo opporvisi, ma fare blocco, avere impatto. Se ne intuisce la portata dalle parole che scivolano sul palco, con il segretario Cgil Maurizio Landini, e ai microfoni, con Elly Schlein.

«A differenza del governo, vogliamo unirlo questo paese», dice lui davanti a una piazza «piena come non mai», con 30mila persone. Landini deve uscire dall’angolo dove più volte Meloni ha provato a metterlo, o dove si è fatto mettere. E Schlein? «Bisogna ricostruire la fiducia», dice lei.

Con Giuseppe Conte che a Bologna neppure si fa vedere, per la nuova leadership del Pd si presenta l’opportunità di rioccupare il campo troppo a lungo lasciato sguarnito a sinistra; di converso, Conte deve ripensare la strategia. «Non ci facciamo dettare l’agenda da Schlein», dice il suo staff: excusatio non petita, accusatio manifesta.

La segretaria dem, come il segretario Cgil, ora deve riprendere il terreno perso e restituire peso all’opposizione. Il decreto anti-lavoro varato dalla premier di estrema destra il primo maggio è solo l’innesco per una reazione collettiva. Schlein martedì affronta Meloni sulle riforme istituzionali, e l’opposizione al presidenzialismo sarà un’opportunità per fare da perno di un fronte. Quanto a Landini, con le altre due proteste di piazza di Cgil, Cisl e Uil, il 13 maggio a Milano e il 20 a Napoli, dovrà assicurarsi che in tutte le tappe si proceda «avanti insieme!», come ha esortato non a caso, sul palco bolognese.

Contrattazione collettiva

Per capire la portata della sfida bisogna appunto cominciare dal lavoro, e dal decreto varato il 1 maggio. Già ad aprile su Domani la leader del sindacato europeo Esther Lynch lo ha definito «un insulto», e altrettanto ha fatto Landini da Bologna: «È un insulto essere chiamati la sera da un governo che annuncia cosa vuol fare la mattina dopo».

Il segretario Cgil ha insistito in modo mirato sul fatto che «il governo non ci vuole davvero parlare», e ha buttato lì che «qui nessuno ha scritto “giocondo” sulla faccia»: segnali che Landini si è sentito sbeffeggiato.

«Ci siamo stufati di chi trasforma Chigi in Beautiful»: dopo aver concesso a Meloni pure il palco del suo sindacato, ora Landini pare pentito e redento. E ha un obiettivo: non farsi mettere nell’angolo.

Sia nel «decreto precarietà» che nella pratica politica, la più grande mina che il governo sta piazzando è la minaccia di far saltare la contrattazione collettiva; o traslitterando dal mondo sindacale alla politica, l’obiettivo è sparigliare il versante opposto per indebolirlo. «Nel decreto, sui contratti precari c’è pure scritto che se la contrattazione collettiva non riesce a regolarli lo faranno le singole parti: Meloni chiede a un precario da solo di negoziare con l’impresa».

La tattica meloniana è frammentare. Lo si vede in più punti: la scelta del governo Meloni di accreditare come interlocutore anche l’Ugl, il sindacato di estrema destra dei contratti pirata; la speranza che Cisl ceda a qualche ammiccamento; minare alla radice il ruolo sindacale, e così via.

Se Landini, come dice, non ha «la scritta “giocondo” sulla faccia», deve evitare due cose: finire nella rete del «governo Beautiful» ed evitare che Meloni lo isoli.

Riprendersi il campo

Tra schiaffi morali e schiaffi veri e propri – quelli che Conte ha subìto da un no vax nel tour per le amministrative – è il leader pentastellato ad aver scelto la solitudine.

A Bologna c’era una delegazione 5S, ma non lui: il suo staff dice che è in tour appunto. Le distanze non sono vaste, soprattutto per un capo politico che aveva fatto dell’istanza sociale la sua bandiera, e allora ecco l’ulteriore risposta: «Ha scelto di non andare, non decide l’agenda in base a Schlein».

La nuova segretaria Pd sta riprendendo campo: la strategia contiana pre primarie – occupare con stile melenchoniano quel che i dem avevano lasciato vuoto – con la sconfitta di Bonaccini si rivela fallimentare.

«La mia piattaforma congressuale si basava sulla necessità di riparare agli errori fatti dal Pd sulle politiche del lavoro», ha ricordato da Bologna Schlein: ogni riferimento al Jobs Act non è casuale. Lei ha portato al governo – del Pd – la sinistra del partito, la lotta al precariato che «crea paura del futuro», i diritti dei lavoratori delle piattaforme digitali, e tutte le istanze che – pur rimodernate – rivelano un dna di sinistra.

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