Con l’intervento al Senato del presidente del Consiglio Mario Draghi abbiamo ora alcune informazioni su come il nuovo governo affronterà il Piano di Ripresa e Resilienza. Ma non sappiamo ancora se nel farlo verrà superata la tara di una cultura arcaica dell’intervento pubblico chiusa ai saperi della società. Se verrà costruito un confronto aperto e informato, per ognuno degli obiettivi strategici. Che richiederebbe assai poco tempo. Vediamo.

Sappiamo che si partirà dalla Bozza di Piano chiusa dal precedente governo, «approfondendolo e completandolo» e tenendo conto degli orientamenti del parlamento. Viene ricordata la «scadenza molto ravvicinata di fine aprile», ma con un condizionale – «avrebbe» – che lascia aperta una finestra.

Viene messa forte enfasi sull’obiettivo di «migliorare il potenziale di crescita della nostra economia», ma poi si ritorna sugli obiettivi più innovativi assegnati dall’Unione, dichiarando che le Missioni (pur rimodulabili e accorpabili) «resteranno quelle enunciate nella Bozza del governo uscente», che a transizione ecologica e digitale affiancava, fra l’altro, il contrasto delle disuguaglianze di genere, generazionali e territoriali. Uno dei problemi di quella bozza non era nei titoli, ma nella mancata specificazione di risultati attesi verificabili che possano divenire «certezze su cui contare» per cittadine e cittadini. Su questo il presidente del Consiglio non ha parlato. Ha allungato lo sguardo, ragionevolmente, oltre il 2026, ma non si è impegnato ancora affinché la grammatica del Piano divenga quella dei «risultati». Che, ricordiamolo, è l’unico metro per motivare attuatori e beneficiari e, prima ancora, per escludere dal Piano progetti inutili.

Tutto passa al ministero

Sulla governance, la scelta è di mantenerne il cardine «nel Ministero dell’Economia e Finanze», a cui il boccino fu trasferito a fine 2020, «con la strettissima collaborazione dei ministeri competenti». E’ una dizione compatibile con la proposta che il Forum Disuguaglianze e diversità e molti altri hanno avanzato sin dallo scorso autunno di assicurare al Piano una governance dentro il perimetro ordinario delle amministrazioni pubbliche. Ma dovrà essere urgentemente completata dagli altri passi proposti: affidamento delle responsabilità nazionali di guida a strutture e vertici dei ministeri, da irrobustire o rinnovare senza esitazioni, anche con immissioni esterne; forte e celere investimento di risorse umane nelle filiere pubbliche territoriali (Comuni, prima di tutto) che attuerà il 60 per cento circa degli interventi. Quest’ultimo passo sarebbe, peraltro, in sintonia con l’enfasi che il Presidente del Consiglio ha messo sul rinnovamento della pubblica amministrazione. Ha usato il termine “riforma”, ma, ci auguriamo, solo perché così Bruxelles definisce gli interventi sulle istituzioni. Infatti, ha enfatizzato la selezione «nelle assunzioni delle migliori competenze e attitudini in modo rapido, efficiente e sicuro, senza costringere a lunghissime attese decine di migliaia di candidati»: esattamente una delle quattro gambe dell’intervento che chiediamo.

Primi cenni

Nel discorso non vi sono indicazioni di merito sulla direzione di revisione del Piano, se non una forte enfasi sui profili attinenti la tecnologia e l’istruzione tecnica, una limitata attenzione al sistema del welfare, peraltro opportunamente citato come requisito della parità di genere, l’assenza di ogni riferimento ai cattivi e buoni lavori, al lavoro irregolare, agli impatti della tecnologia sul lavoro in termini di offerta e condizioni di lavoro, ai lavori sottopagati, al lavoro in schiavitù. Una dimensione, quest’ultima, già povera nel Piano e che domanda un deciso rafforzamento, se la forte apertura ai temi della crisi generazionale e della prospettiva di genere vogliono tradursi in fatti. Ma il silenzio che voglio rimarcare, perché se permanesse sarebbe irrecuperabile, riguarda il dialogo sociale.

Cosa manca

Il “terzo settore” è citato solo come opportunità per realizzare “leva finanziaria”. Le “parti sociali” solo perché la Commissione fiscale danese, citata a esempio di metodo per la riforma fiscale, le incontrò. Viceversa, non si pensa, o comunque non ci si impegna, a incontrarle per la chiusura del Piano. L’avevamo scritto, l’ultima volta il 13 scorso su queste pagine, nel richiamare le critiche puntuali, le proposte precise sul Piano, avanzate dal ForumDD e da molti altri, che attendono risposta. Non si sopravvalutino i propri saperi, non si lasci che decisioni politiche siano prese senza confronto, come fossero tecniche. Si impegnino – abbiamo scritto e torniamo a scrivere - i nuovi ministri e le nuove ministre a presidiare il confronto fra le loro tecno-burocrazie, selezionate e rinnovate, e il partenariato. Si ascolti, si valuti, e poi si diano le risposte, positive o negative che siano, ma motivate e pubbliche.

E’ il solo modo per trasformare il Piano in una strategia-paese, ricostruire fiducia e riparare un tessuto democratico gravemente lacerato.

 

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