La scorsa settimana, la Lega ha annunciato il trasferimento della sua principale sede romana in via delle Botteghe Oscure, poco lontano dall’edificio in cui per decenni il Partito comunista italiano ha avuto il suo storico quartier generale. “I valori di una certa sinistra che fu, quella di Berlinguer, del lavoro, degli artigiani, sono stati raccolti dalla Lega – ha detto Salvini, cogliendo in un’intervista televisiva il potenziale simbolico di questa scelta – se il Pd chiude Botteghe oscure e la Lega riapre io sono contento, è un bel segnale”.

L’apertura della nuova sede e le parole di Salvini hanno immediatamente suscitato reazioni sdegnate dagli eredi del Pci, ma in realtà c’è poco di nuovo in questa polemica. La sede del Pci venne venduta all’Associazione bancaria italiana negli anni Novanta, ben prima della nascita del Pd (oggi è sede del consorzio Bancomat), mentre nello stabile in cui presto si trasferirà la Lega aveva già una sede l’Ugl, il sindacato vicino al Movimento sociale italiano. 

Ma soprattutto non è una novità il tentativo di Matteo Salvini di appropriarsi dell’eredità politica del Pci e di quella del suo segretario più famoso, Enrico Berlinguer, morto nel 1984. Già nel maggio del 2015 Salvini accusava l’allora segretario del Pd, Matteo Renzi, di essere consigliato “dal mondo della finanza, delle banche”, mentre le persone che “votavano Berlinguer ora dicono che questa non è la loro sinistra”. Un anno dopo, riferendosi a un comizio della Lega che avrebbe dovuto tenersi a Firenze, Salvini ha detto: “Qualcuno mi ha detto siete matti? Piazza Santa Croce la riempiva solo Berlinguer. Noi abbiamo accettato la sfida”.  

Nel giugno del 2016, in un’intervista radiofonica, ha detto che “la sinistra ormai è ridotta ai minimi termini” e che “una volta la trovavi nei quartieri, nelle fabbriche” mentre oggi “la trovi nelle banche: rimpiango la sinistra di Berlinguer”. Un mese dopo, in un’altra intervista, ripeteva: “Berlinguer andava in fabbrica, conosceva gli operai, Renzi non ne conosce neanche uno, Renzi conosce i banchieri. Ci tocca fare anche il lavoro della sinistra”.

Nell’estate del 2018, mentre era ministro dell’Interno, Salvini ha detto che “i valori portati avanti da Berlinguer” erano “di ben altro spessore” rispetto a quelli della sinistra contemporanea e un anno fa, nel luglio del 2019, ha detto che a sinistra “sono passati da Enrico Berlinguer a Carola da Berlino [Carola Rackete, ndr], c’è una bella differenza... e si stupiscono perché molti operai, artigiani, precari, giovani e agricoltori votano Lega e non votano più a sinistra”.

Sarebbe facile squalificare questi discorsi come un cinico tentativo di intestarsi un’eredità politica, ma è una tentazione alla quale è saggio resistere. Nelle parole di Salvini c’è più di un fondo di verità. Secondo un sondaggio Ipsos, alle elezioni europee del 2019 la Lega è stato il partito più votato tra gli operai, tra gli impiegati e tra gli insegnanti. Il Pd è stato in grado di competere soltanto tra i ceti superiori e i pensionati. Anche tra gli iscritti alla Fiom, la combattiva federazione metalmeccanica della Cgil, gli elettori della Lega sono più del 18 per cento.

La Lega ottiene da anni ottimi risultati nelle periferie e nelle grandi aree industriali dismesse del Nord. È il primo partito di Sesto San Giovanni, la storica Stalingrado d’Italia a nord di Milano, dove negli anni Cinquanta un abitante su due aveva la tessera del Pci. Ha sfondato in Emilia-Romagna e Toscana e, secondo i dati raccolti dai ricercatori del blog Mapparoma, è diventato il primo partito nelle grandi periferie romane che alla fine degli anni Settanta aveva eletto il sindaco comunista Luigi Petroselli.

Non è un fenomeno soltanto italiano. La penetrazione della destra radicale tra i ceti un tempo definiti “popolari” e nelle aree periferiche e deindustrializzate è comune in tutto il mondo sviluppato. Ma non è un fenomeno che si spiega in modo semplice. 

Come hanno notato ad esempio i ricercatori Dario Tuorto e Gianluca Passarelli nel loro recente libro La Lega di Salvini, nonostante gli appelli popolari lo zoccolo duro degli elettori leghisti continua a essere formato da commercianti, artigiani e piccoli imprenditori. Anche tra gli operai il suo consenso è particolarmente forte tra quelli specializzati e soprattutto tra quelli vicini all’età della pensione. Non sembra un caso se questi gruppi sociali sono quelli che più concretamente trarrebbero un beneficio dalle politiche economiche di Salvini: riduzione delle tasse per la fasce più ricche e per gli autonomi, anticipazioni dell’età pensionabile.

Nei programmi della Lega c’è invece poco di quello che ci aspetteremmo nell’agenda di un partito che vuole davvero raccogliere l’eredità comunista. I veri ultimi della nostra società a cui si rivolgeva, tra mille contraddizioni, l’originario messaggio del Pci oggi sono i nemici giurati della Lega: precari, stranieri e disoccupati del sud. Salvini fa propaganda tra le case popolari, ma non ha mai promesso di costruirne di nuove.

È qui che si nasconde la contraddizione del Salvini comunista. Il leader della Lega non vuole in realtà “fare il lavoro della sinistra”, che è quello di ridurre le diseguaglianze e proteggere gli emarginati. Il suo interesse per la sinistra è tattico e questo spiega anche la sua ossessione per Berlinguer, il più popolare e trasversale dei segretari comunisti.

Con i suoi discorsi Salvini non vuole raggiungere gli emarginati che forse oggi potrebbero essere interessati a un partito che promette la rivoluzione. Non gli interessano le idee del Pci, ma coloro che quel partito lo hanno votato e che Berlinguer lo hanno visto alla televisione. Queste persone oggi hanno un’età che li fa guardare con ansia alla data della pensione. Hanno probabilmente un lavoro sicuro e hanno una casa di proprietà ereditata dai genitori in un quartiere che magari negli ultimi anni è diventato un ghetto per migranti.  

Questo è il dramma dell’Italia e di buona parte del mondo sviluppato. È vero, almeno in parte, quel che dice Salvini: la sinistra ha abbandonato lavoratori, operai e periferie. Ma la destra radicale non propone soluzioni concrete per aiutare chi nella nostra società si trova più in difficoltà. Gli ultimi e i dimenticati continuano ad esserlo, oggi più che mai. 

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