«In questi ultimi due anni, da quando la nostra nave Mare Jonio è salpata per la prima volta in missione, molte cose sono cambiate nel Mediterraneo centrale. Altre sono rimaste uguali». Pozzallo, Ragusa, Sicilia. A parlare è Alessandro Metz, armatore e portavoce di Mediterranea Saving Humans, la piattaforma impegnata a sostenere azioni di monitoraggio e denuncia della situazione nel Mare nostrum. La sua nave è ferma da due settimane in porto. Giovedì 24 la Capitaneria ha comunicato il diniego all’imbarco a bordo di due membri dell’equipaggio, un paramedico soccorritore ed un esperto di ricerca e soccorso in mare. I due sono parte del Rescue Team di Mediterranea. E’ solo l’ultimo episodio di una guerriglia a colpi di carte bollate fra la nave e il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, combattuta attraverso le Capitanerie di Porto. Dal 21 maggio la nave, dopo minuziosi accertamenti, ottiene la classe «Rescue», cioè è idonea alle attività di soccorso e recupero di naufraghi. La certificazione viene dal Rina, il Registro italiano navale, ed è di quelle considerate indiscutibili. Eppure un documento della Direzione Marittima di Palermo datato il 9 giugno - e reso pubblico da Repubblica.it - non riconosce questa certificazione e diffida il comandante e l’armatore dall’esecuzione «di operazioni di salvataggio in modo stabile e organizzato». La Capitaneria spiega che chiederà un chiarimento al Rina. A oggi nessuna richiesta è ancora arrivata.

Da allora il rimpallo di responsabilità non si è fermato. Nel frattempo la Mare Jonio ha compiuto due missioni, salvato 110 naufraghi e messo al sicuro 27 persone abbandonate da 38 giorni sulla petroliera Maersk Etienne. Sono quasi 400 le donne, uomini e bambini, soccorsi in due anni da Mediterranea. Ma intanto la Mare Jonio ha ricevuto quattro diffide e due procedimenti giudiziari che di fatto scoraggiano – è un eufemismo – l’attività di monitoraggio e, nel caso, di salvataggio in sicurezza dei naufraghi. L’ultimo stop è appunto il divieto di imbarco del «rescue team» che, secondo l’armatore, è necessario proprio all’«attività di osservazione e monitoraggio». Sarebbe una commedia dell’assurdo. Solo che non è una commedia. Storie simili hanno incagliato tutte le navi delle Ong: SeaWatch 3, SeaWatch 4, Ocean Viking, Alan Kurdi. Open Arms è in quarantena (ma la Asso Ventinove dell’Eni il 16 settembre dopo un salvataggio si è rimessa subito in mare).

Secondo l’ultimo report di Alarm Phone, una rete che fornisce un contatto di emergenza alle operazioni di salvataggio, il 14 settembre sono morte 22 persone in un naufragio al largo della Libia. Il 18 almeno 20 persone, a largo di Zawiya. Quel giorno alcuni pescatori hanno salvato 51 persone su 54. Il 19 un pescatore ha salvato più di 100 persone al largo di Zuara ma, all’attracco, due si sono gettate in acqua per sfuggire all’arresto, sono morte. Il 21 un naufragio costa la vita a 110 persone, 9 sono tratte in salvo da un pescatore. Il 22 «persone in difficoltà hanno riferito che 4 persone si sono buttate o sono cadute in acqua». Il giorno dopo, Seabird, velivolo da ricognizione non governativo, avvista diverse persone in acqua poco prima dell’intercettazione da parte della cosiddetta guardia costiera libica. Il 25 settembre – il giorno dell’ultimo stop alla Mare Jonio - l’Organizzazione internazionale per le migrazioni denuncia un naufragio in cui hanno perso la vita 16 persone. Lo stesso giorno una barca in difficoltà riferisce che almeno due persone a bordo sono morte. Il giorno dopo secondo l’Oim in quel viaggio i morti sono 15.

Torniamo sulla terraferma. Il governo annuncia per lunedì il varo di un nuovo Decreto Sicurezza che sostituirà i decreti Salvini, quelli che avevano fra l’altro l’esplicito intento di fermare il salvataggio dei naufraghi del Mediterraneo. Cosa cambierà? Qui la risposta di Metz diventa una denuncia: «Mentre continua la criminale collaborazione dei governi e delle istituzioni europee con le milizie libiche, che catturano e deportano di nuovo in quel Paese donne, uomini e bambini in fuga dalla guerra e dalle violenze dei campi di detenzione, la strategia del governo italiano è cambiata. Per questo non ci stiamo alla finta polarizzazione Salvini-nonSalvini», spiega. «Certo, oggi non c'è più la feroce propaganda della politica dei "porti chiusi". Valuteremo le modifiche ai Decreti quando saranno nero su bianco. Ma fin d’ora possiamo dire: cosa cambia, dal punto di vista della criminalizzazione delle attività umanitarie, se le sanzioni saranno solo ridotte e la competenza passerà da amministrativa a penale? Cosa cambia se non saranno aperti canali legali di accesso, se non si parte subito con l’evacuazione dall’inferno libico?».

E poi ci sono le sabbie mobili nei porti: «La strategia "soft" del governo italiano, tutta tecnico-burocratica, boicotta le attività civili di soccorso in mare. Intanto nel Mediterraneo la gente continua a morire annegata. Mi rivolgo alla ministra Paola De Micheli e alle forze che sostengono il "governo della discontinuità" con Salvini: quando tempo deve continuare con questa vergogna?».

Dal ministero però finiamo dirottati alla Capitaneria. Dalla quale si fa sapere che per rilasciare l’idoneità al servizio di soccorso in mare la Mare Ionio necessita di ulteriori requisiti tecnici che riguardano, fra l’altro, la consistenza dei mezzi collettivi di salvataggio e l’addestramento del personale imbarcato per la movimentazione delle dotazioni presenti a bordo. Ma l’armatore non ha mai ricevuto queste richieste.

Oggi, il 3 ottobre, è la giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione. Ricorda il naufragio avvenuto nel 2013 a largo di Lampedusa. La più grave catastrofe conosciuta nel Mediterraneo, 368 morti accertati e almeno 20 dispersi. I ragazzi e le ragazze dell’associazione Black italians, con una ventina associazioni a cui poi se ne sono unite oltre cinquanta, hanno scelto questa data per chiedere la discussione della riforma della cittadinanza impantanata in commissione alla camera. «Non vogliamo continuare ad avere una cittadinanza in locazione, vogliamo una bandiera che includa, riconosca e valorizzi la nostra storia comune», spiega Paolo Barros, attivista di Black italians. Quella dello ius culturae sembra un’altra storia. Lo è. Ma è un’altra storia dello stesso libro, quello delle promesse non mantenute.

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