Sono state superate le 750mila firme per il referendum sull’eutanasia, promosso dall’Associazione Luca Coscioni con decine di associazioni e movimenti per depenalizzare l’eutanasia con un referendum abrogativo. Sono 500 mila le persone che hanno firmato ai gazebo, mentre 250mila hanno firmato online. A queste si aggiungono le firme raccolte nel comuni, nei consolati, negli studi degli avvocati, non ancora conteggiate. È stata quindi superata la soglia minima delle 500 mila firme prevista dall’articolo 75 della Costituzione.

I promotori chiedono che venga depenalizzata l’eutanasia con lo strumento del referendum abrogativo. Per eutanasia si intende la somministrazione diretta di un farmaco letale al paziente, che lo richiede e che rientra in determinati requisiti. In Italia oggi costituisce reato, ed è punita dagli articoli 579 (omicidio del consenziente) e 580 (istigazione o aiuto al suicidio) del codice penale. 

L’articolo 579 prevede che: «Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni. Non si applicano le aggravanti indicate nell'articolo 61. Si applicano le disposizioni relative all'omicidio se il fatto è commesso: 1. contro una persona minore degli anni diciotto; 2. contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un'altra infermità o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; 3. contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno».

Secondo l’articolo 580, invece, «chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima».

Le associazioni e i movimenti chiedono che venga abrogata una parte dell’articolo 579 del codice penale e che il reato dunque rimanga solamente se il fatto è commesso nelle tre situazioni elencate nella seconda parte dell’articolo: se si tratta di un minore, se c’è un’infermità mentale o se il consenso sia stato estorto. Così facendo si aprirebbe la strada alla vera e propria eutanasia attiva, sul modello di Spagna e Lussemburgo, permettendo al medico di somministrare direttamente il farmaco.

Il fine vita in Italia

Questa iniziativa aggiungerebbe un altro importante tassello alla piena garanzia del diritto. In Italia, è già possibile interrompere qualsiasi terapia, anche se provoca la morte (la cosiddetta eutanasia passiva). Dal 2017 è garantito il diritto di interrompere le cure anche qualora non si abbia più la capacità di intendere e di volere, potendo redigere il testamento biologico. Di fronte all’inerzia del legislatore, chiamato più volte a regolare la materia senza successo, negli ultimi anni è stata la giurisprudenza a intervenire.

Il suicidio medicalmente assistito

Nel 2019 la Corte costituzionale ha infatti legittimato il suicidio medicalmente assistito, cioè l’aiuto indiretto a morire da parte di un medico. La Corte si è espressa sulla costituzionalità dell’art. 580 del codice penale nel “caso Cappato-Dj Fabo” e ha stabilito che, se sussistono determinate condizioni, non è punibile «chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente».

La Corte ha escluso quindi la punibilità se la persona maggiore di età, pienamente capace di intendere o di volere, ha una patologia irreversibile portatrice di gravi sofferenze fisiche o psichiche ed è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (per cui si intende la nutrizione e l’idratazione artificiale). Escludere la punibilità significa che non può essere applicata la pena a tutte le persone che abbiano agevolato e/o portato a termine la procedura, escludendo quindi l’applicazione delle disposizioni sull’istigazione o aiuto al suicidio (articolo 580 cp) e sull’omissione di soccorso (articolo 593 cp). 

La sentenza della Corte ha valore di legge: non sarebbe dunque necessario, in astratto, l’intervento del legislatore. In concreto però il parlamento è chiamato dalla Consulta a disciplinare in modo organico la materia, individuando le procedure che rendano effettiva la decisione della Corte. «L’approvazione del testo impedirebbe di fatto il sabotaggio della sentenza della Corte costituzionale in corso. In un anno e mezzo nessuno è riuscito a esercitare questo diritto», ha spiegato Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni. 

Le commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera hanno quindi approvato, il 6 luglio scorso, un testo base per regolare la pratica del fine vita, “Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia”, che riprende in toto la sentenza. Il relatore della legge Alfredo Bazoli, deputato del Partito democratico, a seguito dell’approvazione, aveva specificato che «il testo rappresenta un punto di partenza, e non pregiudica in alcun modo ulteriori interventi di modifica, miglioramento e affinamento del testo».

Cosa aggiunge il referendum

Il testo approvato in commissione, ancora in uno stadio embrionale, riprende completamente la decisione della Consulta e legittima il suicidio medicalmente assistito, escludendo però due situazioni: non prevede la somministrazione diretta del farmaco da parte del medico, producendo dunque una discriminazione nei confronti di chi non può assumerlo autonomamente, perché per esempio affetto da paralisi, e non include le persone che hanno una malattia terminale (ad esempio un cancro terminale) senza essere tenute in vita da trattamenti di sostegno vitale. 

Con l’abrogazione dell’articolo 579 del codice penale, così come chiesto dai soggetti promotori del referendum, si garantirebbe dunque il pieno diritto all’eutanasia (anche nelle due situazioni appena citate, oggi escluse dal diritto), senza produrre quindi discriminazioni.

© Riproduzione riservata