La verità è che Matteo Renzi prima di scatenare la crisi voleva per Italia Viva il ministero dell’Economia. Aveva anche un nome: Ernesto Maria Ruffini, direttore dell’Agenzia delle Entrate, fedelissimo di Renzi, con tanto di presenze alla Leopolda, e avvocato tributarista che lo stesso Renzi aveva voluto a capo dei detective del Fisco quando ai tempi del governo Gentiloni.

La richiesta era stata recapitata direttamente ai suoi ex compagni del partito democratico, ai vertici. Proposta respinta, rispedita al mittente, come confermano più fonti qualificate del Pd.

Una richiesta impossibile da accettare, nonostante Ruffini abbia raccolto i consensi della maggioranza giallo-rossa quando a gennaio 2020 è stato nominato di nuovo a capo delle Entrate. L’ennesimo azzardo renziano: come si fa a cedere un ministero chiave a una parte con così ridotta rappresentanza in parlamento, anche se fondamentale? In realtà Gualtieri non piace più tanto neanche a una parte del partito democratico, e la spaccatura si è vista fino a martedì notte, dove, prima di approvare il Recovery plan, ancora una volta il Mes sanitario è stato terreno di scontro. Gualtieri sulla questione è decisamente più in sintonia con Conte e pezzi dei 5 Stelle.

Mef e Mes

Nell’ombra Renzi tramava per le poltrone, mentre sbandierava ufficialmente il no al Mes e la gestione del Recovery plan come punti di insanabile rottura con Giuseppe Conte e tutto l’esecutivo. In effetti fino a due notti fa le ministre dimissionarie hanno continuato tirare la corda, portando avanti la battaglia sul Mes nel corso del consiglio dei ministri per approvare il Piano nazionale di ripresa e resilienza.

A quel punto però Gualtieri è sbottato: «Nulla a che vedere con il programma Next Generation Eu» e anche se si decidesse di attivare il Mes, «non avremmo a disposizione risorse per investimenti aggiuntivi» rispetto a quelli già  programmati perché altrimenti avremmo un deficit che aumenterebbe in modo corrispondente.

Anche i Dem Francesco Boccia ed Enzo Amendola, per placare gli animi hanno chiarito che il Mes non c’entra col Recovery e hanno chiesto alle ministre - oggi ex - Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, di collaborare. Loro si sono astenute dal votare il Piano (che adesso però approveranno in Parlamento) e il giorno dopo sono state ritirate da Renzi insieme al sottosegretario Ivan Scalfarotto.

Zingaretti a Gualtieri

Il passo di lato di Renzi ha reso tutto più complicato. Maggioranza o no, il presidente Conte che non si dimette e la ricerca dei responsabili, il Pd che vede elezioni a giugno, rendono impossibile predire cosa accadrà a breve. Ma le posizioni non proprio coincidenti di Zingaretti e Gualtieri continuano ad agitare il centro sinistra.

Zingaretti è ancora per il sì, e anzi fino a ieri sera continuava a dire al Tg1: «Sono a rischio gli investimenti per il nostro Paese su digitale, green economy,  è a rischio sicuramente anche il Mes».

Un rischio che per Gualtieri non esiste: «Una crisi è un atto che rende più difficile fare le cose, in questo caso ci sono cose anche non ordinarie da fare. Noi siamo al fianco di Conte, pensiamo sia un errore gravissimo aprire una crisi di governo durante una pandemia, serve un’azione incessante di contrasto al Virus e sostegno all'economia», ha detto a “Oggi è un altro giorno”, su Rai1. «Il Mes? Mi sembra evidente che non era questo il motivo di rompere...».

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